Mirabello. Era il 31 luglio del 2012 quando Gianluca Sforza, 53 anni, morì per un malore. L’uomo gestiva il bar Tabaccheria Sforza, in corso Italia a Mirabello. È nel suo negozio che quel giorno, intorno alle 14, si presentò una coppia di sconosciuti, di età tra i 25 e i 30 anni. Lei risiede a Poggio Renatico, lui è originario di Brescia. Chiedono al barista due caffè corretti sambuca. Giancluca li serve, ma l’avventore gli ordina di versare più liquore. Lui li avverte: così diventa un normale bicchiere di Sambuca e il prezzo da 1.50 euro sarebbe diventato di 2.20 più il costo del caffè. A quel punto si scatena il cliente, che inizia a urlare in faccia al barista: “sei un ladro, uno zombie”. Nel mentre l’uomo si precipita al telefono del bar sbraitando e minacciando il gestore di chiamare i carabinieri. Poi sferra calci e pugni al bancone e alla porta, rompendola, e se ne va verso l’uscita. Appena fuori si siede assieme alla compagna, che nel frattempo si è goduta lo spettacolo sghignazzando.
La madre di Sforza, presente nel locale, terrorizzata, chiama la figlia. Questa si precipita in corso Italia e dentro il locale trova il fratello con un colorito cereo, sudato. Gianluca la prega di chiamare i carabinieri che tardavano ad arrivare. La sorella allora esce in cerca delle forze dell’ordine. IN quei giorni, con l’emergenza terremoto in atto, non era difficile incontrarne a ogni angolo di strada..
In quel frangente il cliente molesto rientra nel bar, sempre urlando e dando calci dappertutto, per comprare delle cartine e una confezione di caramelle. La sorella ritorna con i vigili del fuoco, seguiti poco dopo dai carabinieri. Al loro arrivo i clienti se la risero: “addirittura i vigili del fuoco va a chiamare”. I carabinieri, dopo aver parlato con l’avventore, chiesero a Sforza se volesse sporgere denuncia. Lui temeva ripercussioni e preferì sorvolare.
Alla fine la coppia se ne andò, ma il barista iniziò ad accusare un respiro affannoso. Verso le 16.30 Gianluca se ne va a casa, non si sente ancora bene. Ma continua ad avvertire ansia e malessere. Alle 18 si reca dal medico che gli consiglia di chiamare subito un’ambulanza. E così il 53enne viene portato al SS. Annunziata di Cento, dove morirà alle 21 a causa di uno shock cardiogeno, un colpo di cuore.
Per i fatti di quel giorno i familiari di Gianluca, assistiti dall’avvocato Stefano Di Brindisi, hanno denunciato i due clienti. La scorsa settimana si è tenuta l’udienza di opposizione alla richiesta di archiviazione avanzata dal pm. Per la difesa non esiste un nesso di causalità tra il decesso e l’aggressione verbale avvenuta nel locale. Secondo la giurisprudenza citata da Di Brindisi è possibile integrare i reato di omicidio preterintenzionale, “che si configura – spiega il legale – anche se la volontà di percuotere o ledere non abbia avuto esito, essendo sufficiente che l’autore dell’aggressione abbia commesso atti diretti a percuotere o ledere, incluso il tentativo di farlo”. Inoltre non è necessario picchiare una persona, a livello di condotta, “ma è sufficiente il semplice comportamento minaccioso ed aggressivo. E nella condotta dell’uomo ricorrono tutti questi presupposti. La sua compagna, invece, può essere ritenuta responsabile di concorso nel reato”.
Il gip Silvia Marini si è riservata la decisione che dovrebbe arrivare in questi giorni.
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