Vacilla l’alibi del parroco 60enne accusato di aver commesso atti pedofilia verso il figlio di una coppia a cui aveva dato ospitalità nella propria abitazione. Durante l’ultima udienza in rito abbreviato il pm Alberto Savino ha chiamato in aula due nuovi testimoni, la cui versione dei fatti potrebbe smentire – almeno in parte – la ricostruzione degli eventi fornita dall’avvocato difensore Claudio Maruzzi. Che durante le ultime sessioni aveva presentato un alibi “di ferro” per il suo assistito: il “don”, quel giorno, non avrebbe mai potuto molestare il bambino, visto che contemporaneamente era impegnato in una funzione religiosa in un altro paese.
La vicenda ha inizio nel 2010, quando una famiglia di origine straniera giunge nel ferrarese e viene ospitata dal parroco, che offre loro vitto e alloggio. Ben presto la convivenza inizia a stare stretta e il prete invita la famiglia ad andarsene. Il 35enne capofamiglia non la vede allo stesso modo e ne nasce una causa civile che darà ragione al sacerdote. La famiglia – marito, moglie e due figli piccoli – però non trasloca nemmeno dopo la sentenza di occupazione abusiva dell’appartamento, e passa anzi al contrattacco denunciando il parroco per violenza sessuale, per le “particolari attenzioni” ricevute dal figlio durante una festa di compleanno nell’abitazione. In più la famiglia, assistita dall’avvocato Giovanni Montalto, deposita un’altra denuncia, questa volta per truffa, contro il prete: con raggiri gli avrebbe sottratto 43mila euro.
Diversi procedimenti i cui esiti sono inevitabilmente destinati a influenzarsi l’uno con l’altro. A partire dal giudizio che il tribunale darà sui presunti atti di pedofilia. L’alibi proposto dalla difesa, pur trovando riscontro nelle testimonianze, potrebbe non bastare a sollevare il prete da ogni sospetto. Tra gli ultimi testimoni ascoltati dal tribunale vi è infatti anche un altro ‘don’ di un paese della provincia estense, che pur confermando l’impegno “professionale” dell’imputato il giorno dei fatti, ha specificato di averlo visto solo durante la funzione religiosa, iniziata verso le 17 e conclusa circa un’ora dopo. Tempistiche che non coprono l’intero arco temporale in cui, secondo l’accusa, il parroco potrebbe aver commesso la violenza sessuale. Ma la tesi accusatoria troverebbe riscontro anche nelle parole di un secondo testimone – tra gli ospiti della festa in cui si sarebbero svolti i fatti -, che conferma di aver visto il religioso alla festa, oltre che da una fotografia, portata dall’avvocato di parte civile Giovanni Montalto, che ritrae il parroco tra gli invitati.
A supportare la tesi difensiva vi sono invece i tabulati telefonici di quel pomeriggio portati dall’avvocato Maruzzi, che mostrano l’utenza telefonica del ‘don’ spostarsi nelle celle di varie località della provincia per poi tornare nell’abitazione solo attorno alle ore 19, nelle fasi finali della festa, in accordo con la versione dell’imputato. Il processo, celebrato in rito abbreviato, continuerà in maggio con le ultime testimonianze, mentre rimane ancora ‘stoppato’ il procedimento che vede fronteggiarsi il prete e i suoi accusatori a parti invertite: il don sostiene infatti di essere stato inizialmente minacciato dal suo ospite (che gli avrebbe detto: “se mi sfratti di denuncio per pedofilia”). Su questo fronte la richiesta di archiviazione della procura ha trovato la richiesta di opposizione dell’avvocato Maruzzi: la questione è ora al vaglio del gup.
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