“Non potendo conoscere il reale importo dei servizi da sostenere per trent’anni, credo che si sarebbe dovuta ripetere l’intera gara per l’affidamento dell’appalto”. Le perplessità relative alla costruzione del nuovo ospedale non riguardarono soltanto le questioni tecniche, ma anche quelle più strettamente economiche. Tanto che, già dal 2006, appariva chiaro a chi aveva visionato il progetto preliminare di “Cona 2” che i costi di gestione dell’intera struttura erano destinati a gonfiarsi e a sforare inevitabilmente il budget programmato.
Ad affermarlo, durante l’ultima udienza sulle presunte irregolarità nella costruzione dell’ospedale di Cona, sono due dei componenti della commissione che giudicò l’offerta del consorzio Progeste, l’unica pervenuta all’azienda Sant’Anna. Che oltre a sottolineare alcune delle “criticità tecniche” (relative in particolare alle fondamenta e al contenimento dell’umidità) presenti nel progetto preliminare, entrano soprattutto nel merito del costo dei servizi no-core affidati per 30 anni a Progeste sul modello del project financing. Criticità che a loro avviso avrebbero dovuto portare alla ripetizione dell’intera gara.
A sostenere questa tesi sono il contabile finanziario Calamanti e l’ingegner Mazzacani, che raccontano della spaccatura che si creò nel 2006 all’interno della commissione. “Anche se abbiamo tutti redatto e sottoscritto la relazione – spiega Mazzacani -, nelle conclusioni ci siamo divisi in settori separati, a causa della discordanza su alcuni punti. Secondo me e Calamanti l’offerta non era ricevibile, mentre i commissari nominati dall’azienda ospedaliera trassero altre conclusioni. Eravamo tutti d’accordo sulle criticità, il problema diventava più di tipo legale: nel momento in cui la proposta presenta gravi incoerenze, la gara deve essere rifatta? A mio avviso sì, ma forse parlo con l’ottica tipicamente rigida dell’ingegnere”.
Il pomo della discordia all’interno della commissione riguardava principalmente i servizi no-core, cioè tutte quelle prestazioni che non competono ai dipendenti dell’azienda ospedaliera: dalla pulizia dei locali al decoro degli spazi esterni, dal trasporto delle barelle alla sterilizzazione degli strumenti chirurgici. “Non c’era chiarezza – continua l’ingegnere – negli importi che l’azienda ospedaliera avrebbe dovuto sostenere per 30 anni. L’unico concorrente in gara (Progeste, ndr) proponeva un canone di circa 24 milioni di euro all’anno, che non andava però a coprire tutti i servizi necessari”. Confrontando l’offerta con le richieste del capitolato, secondo Calamanti e Mazzacani restavano quindi fuori “circa 6 o 7 milioni di euro all’anno di costi aggiuntivi, che moltiplicati per 30 anni portavano a una ulteriore spesa di circa 200 milioni di euro”.
Mazzacani, che entrò a far parte della commissione su incarico dell’Università di Ferrara, parla di “gravi incoerenze” e di “sostanziale inattendibilità delle cifre” mentre descrive l’offerta economica di Progeste, ma afferma che alla base del problema c’era anche un difetto del capitolato, “in cui è vero che sono richieste 18 mila sterilizzazioni all’anno di set chirurgici, ma si sarebbe dovuto indicare che quel valore era rigido. In questo modo invece per il concorrente in gara è stato possibile proporre un altro conteggio”.
Il discorso si fa diverso per il lato tecnico della proposta di Progeste, che fu promosso da tutta la commissione nonostante alcune riserve e perplessità. Secondo Mazzacani “il progetto era fatto bene, considerando le difficoltà che nascono quando si deve intervenire su una struttura preesistente. C’erano alcune criticità ma le ritenemmo superabili nella stesura del progetto esecutivo. In seguito la commissione uscì di scena e non so dire se le nostre indicazioni siano state raccolte”. Le criticità a cui si riferisce l’ingegnere riguardano “il serio problema dell’allontanamento delle acque, causato dal fatto che l’ospedale è in una zona depressa del territorio e a rischio allagamento”, oltre al problema dei consumi energetici, per il quale i commissari suggerirono di installare impianti cogenerazione per ridurre i costi di approvvigionamento esterno.
Ma l’annotazione tecnica più rilevante riguarda la modalità con cui furono realizzate le fondamenta: “La parte già costruita – spiega l’ingegnere – è realizzata su pali di cemento armato, mentre nel nuovo progetto è stata prevista una fondazione a platea. Una soluzione non ideale, a nostro avviso: conveniva utilizzare la stessa tecnologia per entrambe le parti dell’edificio”.
Durante l’udienza viene ascoltato in qualità di consulente del pm anche l’ingegnere Masnata, già noto per aver collaborato con la procura di Agrigento durante la vicenda del sequestro dell’ospedale locale. Masnata ha confermato quanto esposto dai consulenti ferraresi durante la precedente udienza, in particolare riguardo alla possibilità di modificare i dati sulle forniture spedite da parte degli amministratori del sistema informatico della Calcestruzzi Spa, anche se ha affermato che le sue indagini non si sono mai focalizzate sull’ospedale di Cona, di cui non ha mai potuto analizzare di persona il cemento “impoverito” contestato dalla procura. Secondo gli avvocati Giacomo Gualtieri e Pietro Solinas, legali del presidente della Calcestruzzi Spa Mario Colombini, “aalle dichiarazioni rilasciate oggi dal consulente del pm è emerso con chiarezza che non sono stati ravvisati elementi o prove, da cui potersi affermare che vi sia stata una frode nella fornitura del calcestruzzo per l’ospedale di Cona. Come anche che la resistenza e durabilta dell’ospedale non sono in discussione”.
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