“L’Italia intera chiede a queste persone di togliersi quella divisa che hanno disonorato. Lo chiede il mondo intero con la petizione #vialadivisa”. Conclude con queste parole, più un monito che una reale speranza, la senatrice Enza Blundo del Movimento 5 Stelle la discussione sul caso Aldrovandi andata di scena in Senato.
La parlamentare era intervenuta per chiedere lumi al ministro dell’Interno in merito al ritorno in servizio dei quattro poliziotti condannati per omicidio colposo, “nonostante abbiano bastonato un innocente fino a portarlo allo schiacciamento del cuore, incuranti delle sue invocazioni di aiuto, e nonostante abbiano pronunciato frasi gravissime, dette da Enzo Pontani e Monica Segatto, durante il pestaggio. «Abbiamo bastonato di brutto per mezz’ora», disse Enzo Pontani; e Monica Segatto: «Moderatevi che ci sono le luci accese»”.
“Immaginare che queste persone – prosegue la Blundo – possano tornare a vestire una divisa o anche ricoprire incarichi amministrativi all’interno della stessa Polizia di Stato sarebbe un’offesa di fronte ai tantissimi lavoratori che in questo periodo vengono licenziati non per avere ucciso, ma per gli sbagli della nostra politica”.
Prima della risposta del viceministro c’è giusto il tempo per Carlo Giovanardi del Pdl per uscire con l’ennesima gaffe. Dopo aver definito Federico un tossicodipendente, dopo aver creduto che il sangue dietro la testa fosse un cuscino, dopo aver pensato che si chiamasse Luca, dopo aver assimilato il suo caso a quello di Luigi Preiti, ora a Palazzo Madama interviene dicendo che il ragazzo era ammanettato supino. “Questo è il vero problema che abbiamo davanti – sostiene Giovanardi -, al di là delle speculazioni, ed è quanto emerge dagli atti processuali. In questo caso non c’è stato alcun dolo. Omicidio colposo vuol dire, infatti, che avrebbero dovuto – come è scritto testualmente (sic) – prevedere che una persona mantenuta in arresto per terra supina, con le braccia ammanettate dietro la schiena ed immobilizzata da un esponente delle forze dell’ordine, è a rischio di perdere la vita, come poi è successo”.
Il sostituto di Alfano si limita a quindi a riportare quanto già detto in una precedente rispota al depuatto penta stellato Bernini: “All’esito della pronuncia definitiva di condanna – ricorda il viceministro -, sono stati avviati i conseguenti procedimenti disciplinari, conclusi il 3 gennaio 2013, con provvedimento del Capo della Polizia che ha irrogato agli agenti la sanzione della sospensione dal servizio per la durata di sei mesi, in adesione a quanto proposto dai rispettivi consigli provinciali di disciplina”.
La sospensione, secondo il Viminale, “in natura della natura non dolosa del reato”, rientra tra le violazioni “riconducibili alla disciplina normativa – contenuta nel decreto del Presidente della Repubblica n. 737 del 1981 – relativa ai casi di negligenza in servizio di particolare gravità e di comportamento non conforme al decoro delle funzioni degli appartenenti ai ruoli dell’amministrazione della pubblica sicurezza”.
La prima a intervenire è la senatrice ferrarese Teresa Bertuzzi, del Pd, che a fronte di una “risposta inappellabile dal punto di vista dell’applicazione dei regolamenti”, sposta l’attenzione su “una reale e comprovata mancanza di norme adeguate per definizione della pena di fronte al caso conclamato di omicidio colposo che i giudici hanno appesantito con l’appellativo di eccesso di colposità, perché non esiste nel nostro ordinamento un reato relativo alla violenza subita dal giovane Federico”.
Il riferimento è al reato di tortura, discusso appena la settimana scorsa in aula: “se fosse preesistito oggi non saremmo qui a discutere di conseguenze di reato”. La Bertuzzi ricorda anche che la città di Ferrara “ha subito un trauma importante che ancor oggi fa reclamare un bisogno addizionale di giustizia, che non è stata proporzionale al reato commesso. Il trasferimento aiuterà questa riappacificazione, ma non è adeguato rispetto all’emergere di un dubbio di compatibilità di queste figure rispetto al ruolo di agenti di polizia”.
Viene poi il turno della Blundo, che giudica la risposta “non soddisfacente”: “l’unica attenuante è che i poliziotti non siano più a contato con le persone. Questi agenti hanno dimostrato di non essere agenti di polizia. Non solo con le azioni ma anche con le parole. Siamo di fronte a una gravità morale più che penale”.
La senatrice ricorda poi le parole delle sentenze, nelle quali si punta il dito contro i quattro poliziotti che “hanno distorto dati rilevanti allo sviluppo delle indagini sin dalle prime ore successive alla morte del ragazzo”. Per questo non aver comminato la destituzione rappresenta “un affronto alla famiglia, alla comunità, ma anche alla stesa istituzione di Polizia”. E conclude con un appello: “invito gli stessi agenti a togliersi quella divisa che disonorano”.
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