Recensioni
2 Ottobre 2013
Palazzo Todesco a Vittorio Veneto riapre al pubblico con una mostra dedicata all'artista veneto dell'Ottocento

Luigi Da Rio, pittore, frescante e decoratore

di Redazione | 5 min

di Maria Paola Forlani

Nella deliziosa cittadina di Vittorio Veneto, nata nel 1866 dalla fusione dei due centri storici autonomi di Cèneda e Seravalle, la città venne dedicata a Vittorio Emanuele II per celebrare l’annessione del Veneto al regno d’Italia. Nonostante ciò i due nuclei urbani hanno mantenuto l’individualità che li ha contraddistinti fin dalle origini.

Molti i monumenti e le opere d’arte che vivono nei due centri storici: dal Duomo, all’oratorio di S.Lorenzo,  la Galleria Civica di Arte Medievale, Moderna e Contemporanea, il Museo Diocesano di Arte Sacra “Albino Luciani” il castello di S.Martino, antica residenza del vescovo-conte, rifatto in età longobarda e nuovamente nel primo ‘400, e tuttora sede episcopale e molti monumenti ancora accolgono il turista curioso tra le belle viuzze in ciottolato e i palazzi dalle facciate sagomate tra superfici plastiche e colore.

In questo contesto magico apre Palazzo Todesco al pubblico, quasi completamente restaurato per convegni, mostre ed eventi culturali “in altre parole: (per) prendersi cura del bello, della “grande bellezza” afferma il sindaco Gianantonio Da Re.

È l’esposizione di un artista dell’800 sconosciuto al grande pubblico ad aprire i battenti di questo coraggioso cammino culturale “Luigi Da Rio”, aperta fino all’8 dicembre (Catalogo Zel Edizioni) a cura di Antonella Bellin

Come afferma Nico Stringa nell’introduzione al catalogo, Luigi Da Rio non era sconosciuto agli specialisti della pittura veneta dell’800; basta scorrere i contributi di Giuseppe Pavanello, per esempio la voce dedicata all’artista nel Dizionario Biografico degli italiani nel 1986, per constatare che la figura del pittore cenedese era ben presente alle ricerche in corso. Coetaneo di Guglielmo Ciardi, di qualche anno più anziano di Favretto, Da Rios si forma all’Accademia di Venezia nel momento in cui le idee classico-romantiche della generazione precedente lasciano il posto a propositi del tutto diversi, orientati a una maggiore presa sul vero, sia pure tra gli equivoci indotti dalle teorie di Pietro Selvatico. Di notevole interesse che la sua adesione alla poetica del vero sia filtrata attraverso la pittura a fresco e che, a metà circa degli anni ’60, egli guardi non a Gianbattista, ma a Giandomenico Tiepolo che con i suoi lavori di carattere “moderno” aveva aperto una strada nuova alla pittura tra ‘700 e ‘800. Non sarà un caso se, tra i ritratti migliori di Da Rios, figurano proprio quelli inseriti nelle scene affrescate a Villa Bisacco – palazzi, dove ritroviamo anche l’autoritratto. Ma Da Rios intende essere pittore di storia e poi del ‘vero’, destreggiandosi quindi sia sulle tematiche più tipiche della generazione precedente alla sua, sia sui temi nuovi della vita popolare, contribuendo quindi a quella sorta di enciclopedia dei costumi veneziani che va sotto la denominazione di pittura di genere

(e la fortuna che certi suoi dipinti ‘popolari’ hanno avuto nella trasposizione in ceramica a fine Ottocento, la dice lunga sulla diffusione di certi suoi dipinti come Le curiose).

Né egli trascura la pittura di tematica religiosa, ancora una volta guardando a Giandomenico, confermando i legami con la tradizione che si era aperta alla modernità. Prendiamo ad esempio La Via Crucis di Santa Lucia di Piave. L’artista sceglie di conferire alle vicende un ritmo narrativo serrato, d’intensa drammaticità alieno da pause. Su quasi tutte le stazioni grava la presenza della folla tumultuante, a volte indistinta ma sempre partecipe alla tragedia del Cristo che è la figura perno di ogni composizione. Il percorso della Via Crucis della Chiesa di Santa Lucia si snoda in senso antiorario in quattordici stazioni dalla I Gesù condannato a morte, alla XIV Gesù messo nel sepolcro.

Luigi Da Rios (Ceneda 1843 – Venezia 1892) è per molti versi una rivelazione. Artista poliedrico, arguto osservatore del genere umano e un abile frescante teso a innervare la sua pittura di elementi di modernità: un ritrattista acuto nella resa psicologica e nelle innovative soluzioni luministiche e una personalità, per certi versi, ancora ambigua di cui stupiscono, per esempio, i legami e le committenze di rilievo fin da giovanissimo, nonostante le umili origini. L’esposizione riunisce per la prima volta un nucleo consistente di 25 dipinti di Da Rios posti a confronto con riferimenti artistici più ammirati del tempo – Rotta, Quarena, De Blaas, Favretto, Ciardi – ricostruendo nel percorso anche le decorazioni e i cicli  ad affresco, in ville e chiese, che lo hanno visto impegnato durante tutta la sua vita, a partire dalla primissima commissione da parte della famiglia Bisacco a Chirignago (Ve), alle committenze dei Visconti di Modrone che lo chiameranno per affrescare la loro Villa sul Lago di Como. L’attenzione per il mondo della realtà e la ritrattistica – con inclinazioni giovanili alla pittura moraleggiante e al tema della famiglia propugnati dal Selvatico – sono dunque i due generi cui Da Rios si dedicherà maggiormente a partire dal 1867, anno in cui l’artista rientra a Venezia liberata dal giogo austriaco, dopo che gli ideali risorgimentali lo avevano portato a Firenze, annessa al Regno d’Italia, per unirsi ai patrioti a fianco a Garibaldi nella Terza Guerra d’Indipendenza. Tanta passione politica sarà per altro premiata, perché qualche anno più tardi Vittorio Emanuele II commissiona a Da Rios il suo ritratto – ora all’ambasciata italiana a Bruxelles – e nel 1878 la Prefettura di Venezia lo incarica di ritrarre “Umberto I”, appena salito al trono. Il “Ricordo del caro estinto”, inaugura la pittura morale di Luigi  Da Rios segnando il passaggio dai ritratti celebrativi tradizionali alle raffigurazioni romantiche d’indagine psicologica. Il bel dipinto ovale è seguito, nel giro di pochi anni, da “Le analfabete” e da una serie d’opere con protagonisti umili bambini, per lo più in lacrime, ritratti con tenerezza all’interno delle loro modeste case o nelle calli della città, come in “Cosa gastu fato?” o in “Un gioco interrotto”.

Nel 1854 Da Rios licenzia “ La ninna nanna”, quadro centrale nella produzione del cenedese, non solo perché raffigura probabilmente la moglie Luigia Querena e la figlioletta, ma perché segna anche la definitiva adesione del pittore alla “Scuola del vero” di Giacomo Favretto. Negli anni Ottanta e Novanta Da Rios porterà a maturazione il processo avviato in lavori precedenti, con la volontà di sperimentare nuove soluzioni luministiche. In questi anni è forte l’interesse per la pittura del Ciardi: come lui vuole fissare pittoricamente le variazioni di luce nelle diverse ore del giorno. Anche del Rios abbandona calli e campielli per osservare la laguna, che entra timidamente nelle sue opere come in Panni stesi” e in “Ragazza con ventaglio”, per diventare parte integrante della composizione in “Chiacchiere al porto” agli inizi del Novanta.

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