Gian Carlo Traina
Brezze Marine (2012)
Racconti versiliesi con disegni dell’autore.
Formato cm 17×12, pp.160, con illustrazioni.
Gian Carlo Traina.
Pinete (2013)
Racconti versiliesi con illustrazioni dell’autore.
Formato cm 17×12, pp.168, con illustrazioni.
Prezzo €12,00.
Liberty House, Ferrara
Nella classifica dei medici-scrittori Giancarlo Traina, ex primario di ortopedia a Ferrara, occupa un posto che alla luce delle prove finora esibite – Brezze marine (2012) e Pinete (2013) entrambe accomunate con il sottotitolo Racconti versiliesi – sembra privilegiare una forma dialettale-linguistica che in Versilia si fa mezzo centrale di comunicazione e di forma letteraria e nello stesso tempo accampa come spazio totale un luogo, la Versilia appunto, che si snoda tra il mare e le Alpi Apuane da Lucca a Sarzana. Se qui si parla di Pinete, secondo volume dei racconti, molte di queste note non possono che riferirsi anche al primo volume.
Per chi, come chi scrive queste note, ha vissuto a lungo in quei luoghi e ne conosce i vezzi linguistici e non, i miti e i simboli di questi racconti di Traina assumono il sapore d’antan. Non a caso sono un affettuoso percorso attraverso una civiltà che scompare per lasciare il posto ai trucidi riti dell’omologazione. Questa Versilia non è quella che tutti conosciamo e che è diventata parte dell’immaginario letterario e mondano novecentesco: il caffè Roma, la Capannina o la Bussola o il bagno Piero al Forte; Il Principe di Piemonte o il caffè Margherita o Tito del molo in passeggiata a Viareggio. Qui i bagni sono anonimi e un po’ sospetti, governati e sfruttati da personaggi ambigui e furbi come la Firmiana di Patino (per noi adriatici moscone), la bagnina “detta la balena bianca”: “ogni anno era cresciuta di tre quattro chili già partendo da una buona base, famosa perché non stava mai al sole […] ma famosa soprattutto per sapere tutto di tutti quelli che lavorano sul mare” (p.65). La pinguedine, la solidità della carne, la colossalità della figura sono le caratteristiche di queste donne versiliesi così come i maschi son segaligni o, se sono a loro volta nerboruti, la loro forza si rivela stupidità. Il mito del bagnino sciupafemmine della tradizione adriatica qui si stempera in un ottusa furbizia per rimediare qualche ragazza o donna che alla prova dei fatti si rivela la conduttrice del gioco: “L’abbronzatura se l’eran fatta lavorando al sol nei campi delle fragole, costume da bagno, infradito e via, neri come vucumprà sicché guardandosi e guardando gli amici al bar, pallidi e foruncolosi, venne l’idea” (Cabine, p.73).
Una Versilia fatta di personaggi umili che s’ingegnano a inseguire i sogni contemporanei travolgendo e stravolgendo natura, paesaggio, tradizioni. Pinete inizia con due racconti lunghi, Sigarette e Macchinette, che incorniciano sei altri più corti tutti uniti dal filo rosso del luogo. La tonalità fondamentale si gioca sul grottesco che investe e travolge personaggi e situazioni. I due racconti lunghi si giocano nel gusto del noir e raccontano due “ammazzatine” l’una di un uomo, l’altra di una donna coinvolti e stravolti dalle nuove attività che rendono fruttifera la lenta decadenza e la maestà del paesaggio versiliese. Droga, furti, contrabbando, speculazione edilizia. Tutto il marciume che inesorabilmente si fissa e condanna luoghi di prestigiosa, un tempo, bellezza e qualità.
In Traina non prevale mai il giudizio morale diretto del narratore quanto il commento dei personaggi, la loro furbizia o miseria morale. Sono commenti legati a bugie, fanfaronate, sesso e furbizia. A volte per rendere icastici i dialoghi lo scrittore non esita a ricorrere a formule desuete del burocratese non sempre riuscite come l’uso costante della maiuscola per esprimere rispetto verso l’autorità o verso chi si considera superiore: tutti i poliziotti citati con la lettera maiuscola: Tenente, Maresciallo ecc. Tutti i dialoghi in cui il Lei vien mantenuto sempre con la maiuscola. Una forma arcaica che a volte non raggiunge l’effetto stilistico voluto. Va da sé che i toscanismi o le formule dialettali di questi racconti prevalgono. Dall’uso reiterato del “te” alla scelta di “nulla” rispetto a “niente” a lemmi della antica tradizione toscana: “ Perché il morto l’ho trovato io ma te hai detto nulla alla polizia? (p.20). “Non dire bischerate! (p.39). Così il cibo è quello della tradizione toscana: salsicce di cinta accompagnate purtroppo dal prosecco imperante per rendere contenta la ganza abituata alla moda omologativa. Nel grottesco delle situazioni s’introduce a volte, quasi uno spiraglio pudico, una nota lirica che Traina cerca di nascondere o di proporre come sottofondo lontano così come lontana è la poesia suscitata da un’altra Versilia: “ Il mare era mosso come dev’essere quando tira libeccio e l’onda arrivava fino al morto, ci girava e tornava via” ( p.39).
Un’altra caratteristica dei racconti risulta dall’inserimento di schizzi e ritrattini disegnati dall’autore che rafforzano quella vena ironico-grottesca di cui sono intessuti. Un affettuoso omaggio dunque che ha una sua qualità letteraria e che ci fa trascorrere qualche ora di svago, di uno svago letterario che nel presente ha una sua utilità e necessità.
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