Attualità
17 Luglio 2013

Se la religione cambia la nostra dieta

di Luca Bernardini | 3 min

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momosNegli anni ho notato che a Bombay è sempre più difficile trovare nel menu dei ristoranti cinesi piatti a base di carne di maiale. Fatto molto strano. Non è la fissazione di un ferrarese per “al busgat”, ma un elemento imprescindibile della cucina cinese.

L’animale ha una lunga storia nella tradizione del Paese asiatico. Il suo addomesticamento risale a più di 6000 anni fa. L’ideogramma della parola “casa” si compone di due elementi: sopra il segno del “tetto”, e sotto il segno del “maiale”. Questo perché ogni famiglia aveva come animale da cortile almeno un suino, il quale veniva nutrito con gli scarti alimentari. Poi, ingrassato per bene, veniva macellato per un fondamentale apporto calorico. Un’onnivora fabbrica di proteine che non sottraeva alcuna importante risorsa alimentare agli umani.

Basti solo un dato: oggi il Paese è il maggior produttore al mondo di carne suina.

Poi insomma, tutti siamo andati in un ristorante cinese in Italia e nella carta dei piatti fa sempre bella mostra la sezione “maiale”.

In India i ristoranti cinesi sono tantissimi e molto particolari. Offrono un mix di cucina sino-indiana e il personale, dal proprietario ai camerieri ai cuochi, è indiano, al contrario dell’Italia dove al 99% sono cinesi.

Comunque, insospettito dalla moria di piatti di carne suina, ho chiesto ad alcuni gestori il motivo. Tutti la stessa risposta: “Li abbiamo tolti perché altrimenti perdiamo la clientela musulmana, e non possiamo permettercelo. Sono ottimi clienti (vedi spendono molto). Non si limitano a non ordinare maiale, ma evitano direttamente i locali che lo servono. Per loro è un tabù e pensano alla contaminazione degli utensili da cucina che hanno toccato la carne dell’animale”.

E’ bene precisare che non siamo in Qatar, Arabia Saudita o Iran, ma in India, dove la popolazione musulmana rappresenta il 13,5% del totale. Ma è una minoranza in crescita nelle città ed economicamente forte, grazie anche all’aiuto finanziario più o meno legale dei Paesi arabi.

Un esempio. Santacruz di Bombay è il quartiere dove vivo. Il nome spiega tutto: storica “roccaforte” cattolica con un’ampia comunità proveniente dallo stato di Goa, ex colonia portoghese. I cognomi sono Fernandez, d’Souza, Pinto, Ribeiro.

L’istituto comprensivo maschile e femminile della zona, dalle elementari alle superiori, è di appartenenza alla Chiesa. Si parla di migliaia di studenti. Quest’anno gli iscritti di fede cristiana sono stati 9, mentre la maggioranza è musulmana. Tanto che la comunità del Corano ha proposto l’insegnamento dell’Islam come nuova materia, in una scuola cattolica…

Tornando alla gastronomia, faccio una considerazione: che gusto ci sarebbe se i ristoranti italiani a Bombay togliessero il maiale e, visto che anche l’alcool è proibito ai fedeli di Maometto, il vino?

Ancora, il bando volontario dei ristoratori a costicine e Lambrusco potrebbe verificarsi direttamente in Italia, se in futuro i clienti che portano il vero “cash” sono musulmani?

Dunque il dubbio resta, stiamo parlando di rispetto di tabù religiosi e culturali o di un’impropria invasione di campo?

Per darmi un po’ di arie, chiudo con una citazione di San Paolo: “Non ci divida ciò che mangiamo e ciò che beviamo con moderazione”.

Foto: http://instagram.com/bernardhindi#

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