Cronaca
22 Febbraio 2013
L’avvocato ferrarese Zanforlini scrive al Cnr per chiedere i dati

Ogni anno scompaiono 600 animali dopo gli esperimenti

di Marco Zavagli | 3 min

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IMG_0273Che fine fanno gli animali utilizzati per esperimenti scientifici, farmacologici e tossicologici al termine dei test? Quanti restano in vita e dove finiscono? Domande alle quali chiede una risposta David Zanforlini, l’avvocato ferrarese noto per diverse battaglie ambientaliste, dal caso Solvay di Ferrara a quello di Green Hill di Montichiari, in provincia di Brescia.

Proprio indagando sui beagle di quell’allevamento Zanforlini venne a sapere alcuni mesi fa da fonte confidenziale che “alcuni numeri non tornavano”. Vale a dire che a fine sperimentazione, ad essere affidati a strutture di custodia o ricovero per appena il 7/8 percento degli esemplari. “Considerando che in genere un 30% viene soppresso perché a causa dei test e delle conseguenti sofferenze il mantenimento in vita risulterebbe estremamente doloroso – spiega il legale -, ci rimane un buco di circa il 60% di animali che non sappiamo che fine fa”.

Per scoprirlo Zanforlini aveva chiesto al ministero della salute i dati relativi agli animali sottoposti a esperimento nei centri di ricerca e nei laboratori di aziende pubbliche e private in tutta Italia. In base alla legge 116 del ’92, relativa alla protezione degli animali utilizzati a fini sperimentali, al termine dei test la ‘cavia’ ancora in vita può essere tenuta presso il centro di ricerca o affidato a uno stabilimento di custodia o rifugio. Ogni struttura deve tenere un registro degli animali utilizzati, annotando numero, specie, provenienza e le date del loro arrivo, della loro nascita e della loro morte.

Ma il ministero lo scorso novembre ha risposto che non può far aprire quei registri sulla sola base di una richiesta troppo generica: quel tipo di documentazione non rientra nell’ambito del diritto di accesso secondo il dipartimento interpellato. Inoltre, sempre secondo la risposta ricevuta da Roma, si tratta di atti che possono essere forniti solo in caso di procedimento penale in cui il richiedente sia parte.

Zanforlini non si è dato per vinto e ha giocato una seconda carta. Quella di interpellare nel merito il Consiglio nazionale delle ricerche. È partita così una raccomandata indirizzata a a Luigi Nicolais, presidente del Cnr. A lui l’avvocato ferrarese, in qualità di rappresentante legale di Legambiente, chiede copia della documentazione riguardante “il numero effettivo ed attuale, di primati non umani, cani, o gatti, utilizzati con espressa autorizzazione del ministero della Sanità in ogni struttura o centro di ricerca collegati al Cnr, ovvero senza la prescritta autorizzazione. Si richiede anche la documentazione sull’impiego effettivo ed attuale di ciascun animale, il numero di quelli che da ogni struttura individuata viene affidato a strutture di custodia (siano esse pubbliche o private), dopo l’attività sperimentale effettuata, e quindi anche il numero di animali che vengono invece soppressi. In quest’ultimo caso, si richiede la ragione medica/veterinaria/scientifica per cui l’animale viene soppresso anziché affidato a strutture di custodia”.

Si parla di numeri importanti. Gli animali (scimmie, cani e gatti) sottoposti a esperimenti di laboratorio ogni anno in Italia sono 970 – fonte Lega Antivivisezione -. “Se prendiamo per buona la percentuale del 60% che ‘sparisce’, si parla di circa 600 esemplari di scimmie, cani e gatti che mancherebbe così all’appello”.

Dalle indagini svolte da Legambiente – spiega il legale nella lettera – e incrociate con alcuni dati non ufficiali inerenti la presenza di alcuni primati non umani, cani e gatti, in alcuni centri di ricerca italiani, nonché dei dati circa la loro soppressione o affidamento ad altre strutture al termine degli esperimenti, si evidenzia una potenziale discrasia fra il numero degli animali dichiarati in vita dai centri di ricerca alla fine degli esperimenti e quelli invece affidati gli istituti di custodia”. Per scoprirlo, Legambiente ha bisogno di avere quei dati, conservati all’interno dei registri dei centri di ricerca, molti dei quali collegati al Cnr. “Se così fosse – avverte l’avvocato – si potrebbe configurare il reato previsto dall’art. 544 bis del codice penale”. Ossia uccisione di animali.

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