Eventi e cultura
18 Febbraio 2013
Ascanio Celestini da Copparo dipinge il suo ‘governo secondo Gramsci’

“Patrizia Moretti ministro della giustizia”

di Marco Zavagli | 2 min

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adminCopparo. “Ministro della giustizia Patrizia Moretti”. Ma anche tutte quelle persone che hanno imparato sulla propria pelle cosa significa l’ingiustizia. Come la sorella di Stefano Cucchi, il figlio di Aldo Blanzino, la sorella di Giuseppe Uva e, appunto, la madre di Federico Adrovandi. Loro sarebbero perfetti per il ministero della giustizia. Gramsci, se fosse capo del governo, vorrebbe loro. Allo stesso modo Gramsci, questo “nano di un metro e mezzo che in dieci anni di prigione è diventato un gigante”, vorrebbe un contadino al ministero dell’agricoltura, un precario al lavoro (“e non uno che si fa scendere una lacrima quando parla di sacrifici”), un immigrato agli esteri. “Gramsci farebbe così”, assicura dal palco del De Micheli di Copparo Ascanio Celestini.

Nel suo “Discorsi alla nazione”, seguito a 24 ore di distanza – sempre nel teatro di piazza del Popolo – da “Pro Patria”, l’attore romano ha messo in scena a furor di paradossi quella che è l’Italia dopo 150 anni dalla sua unità. Un’Italia che festeggia il suo più recente anniversario dimenticandosi della sua monarchia (“non proprio illuminata, il migliore fa la pubblicità in tv dell’olio di oliva”), del suo ventennio fascista, delle sue guerre in Abissinia, del suo ventennio berlusconiano. Fino al prossimo ventennio, forse “quello che chiameremo dei tecnici”, che hanno “governato un anno intero senza aver ricevuto un voto dagli italiani”. E che si permettono di dire che “il posto fisso è noioso”.

Gramsci non avrebbe detto così. Ma Gramsci è stato dimenticato. Così come il linguaggio di una sinistra che ormai si confonde con la destra. Non è il geniale conformismo manicheo con cui Gaber sbeffeggiava in tempi meno sospetti la morte dell’ideologia, è qualcosa di più quello che mette in scena Celestini. Accompagnato da una sedia sul palco (nemmeno Pinter sapeva essere più scarno), l’attore si rivolge a mo’ di padrone ai “cari compagni e care compagne”, quegli umiliati e offesi che dovevano “unirsi per spezzare le proprie catene”. E che invece, rimbambiti dalla televisione, dalla pubblicità e da un finto benessere, hanno “dimenticato la propria coscienza di classe”, l’alienazione del lavoro, struttura e sovrastruttura, la conflittualità delle classi (“parole meravigliose che noi padroni abbiamo imparato da voi”).

Perché allora “’sti capoccioni della sinistra non sono loro al governo”? “Perché vi siete dimenticati tutte queste belle parole”. In questo “piccolo paese” è caduta “la destra ed è andata la governo un’altra destra, applaudita dalla sinistra”. In questo piccolo paese, Celestini non lo dice ma è facile essere profeti, persone come Patrizia Moretti, Ilaria Cucchi, Lucia Uva, o un contadino, un immigrato, un precario, non saranno mai ministri.

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