Politica
31 Gennaio 2013
I documenti giudiziari del 1990 confermano la tesi dell'ex sindaco: mai indagato nè condannato

La querela di Soffritti: “gravissima e gratuita denigrazione”

di Ruggero Veronese | 3 min

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admin-ajaxAlla fine, come annunciato pochi giorni fa, la querela di Roberto Soffritti è arrivata. Dopo la discussione che lo ha visto protagonista nel confronto tra Antonio Ingroia e l’europarlamentare Pdl Lara Comi, durante la puntata del 24 gennaio di Servizio Pubblico (leggi l’articolo), l’ex sindaco di Ferrara si è subito attivato per intraprendere un’azione legale contro quella che definisce “una gravissima quanto gratuita denigrazione”. Al centro di tutto ci sono le due vicende del fallimento Coopcostruttori e della costruzione del Palazzo degli Specchi, nei cui processi Soffritti, secondo la Comi, sarebbe rimasto invischiato sia come indagato che come condannato.

Tutte accuse rispedite al mittente dal “Duca rosso” di Ferrara, il cui contrattacco punta a dimostrare di essere stato vittima di una “diffamazione aggravata dall’attribuzione di fatti determinati e dall’utilizzo di un mezzo di pubblicità”. Carte alla mano, infatti, le sue ragioni sono incontestabili: nel caso Coopcostruttori Soffritti comparì in tribunale solo come testimone, mentre le ipotesi di rapporti mafiosi tra l’amministrazione ferrarese e il costruttore Gaetano Graci che realizzò attraverso il “prestanome” (come la definì il pm di allora) Società Estensi il palazzo di via Wagner, caddero definitivamente il 3 ottobre 1990, data in cui il giudice Sebastiano Messina, su richiesta della Procura della Repubblica, archiviò il procedimento.

Le indagini relative a una “presenza mafiosa” nel Palazzo degli Specchi scaturirono dal fatto che il capitale sociale della Estensi S.p.a. consisteva in soli 200 milioni di lire, una cifra assolutamente insufficiente per una costruzione di quella portata. Le  indagini svolte dalla guardia di finanza, e riportate dalla procura nella richiesta di archiviazione, dimostrarono tuttavia che la ditta era in realtà “una società di comodo, dietro cui si cela un potente personaggio come Gaetano Graci, Cavaliere del lavoro di Catania” e, tra le altre cose “sostanzialmente proprietario” di due banche, la Agricola Etenea e la Cassa Rurale e Artigiana R.Riolo.

“Nessuna irregolarità può certamente desumersi dall’apparire di “società prestanome” […] quali protagoniste dalla costruzione del famoso centro direzionale – scrive il magistrato -; questa è una pratica comunemente seguita nel moderno svolgersi nell’attività imprenditoriale ad alti livelli […]. Quanto alla presunta presenza mafiosa collegata alla persona di Gaetano Graci, va osservato come la Procura della Repubblica abbia abbondantemente esaminato il curriculum vitae e l’attività del predetto […] che pertanto, allo stato, deve ritenersi non collegato o comunque non espressione dell’attività di gruppi facenti capo o riferimento a cosa nostra”. Un passaggio ribadito poche pagine dopo, dove si legge che “comunque il Graci, per quanto consta alla procura antimafia, dopo l’anno 1982 (e quindi 5 anni prima dell’epoca della nostra vicenda) aveva cessato ogni benché minimo episodio, anche di sospetta contiguità, con gli ambienti di cosa nostra”.

Tutto questo accadde nel 1990 e, anche se i rapporti del Cavaliere catanese con la criminalità organizzata occuparono ancora in seguito le aule di giustizia, la procura di Ferrara non poté che dichiarare l’operato dell’amministrazione ferrarese “pienamente trasparente e legittimo sotto il profilo penalistico, nonché rispondente a un oggettivo interesse pubblico”. Difficile a questo punto una vittoria in tribunale della Comi, che in diretta a Servizio Pubblico avrebbe forse dovuto concentrarsi più sugli aspetti politici che su quelli giudiziari del “Duca rosso” di Ferrara.

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