
Gianni Venturi
Sta finendo il concerto di Natale che si svolge in Senato alla presenza delle massime autorità dello stato: tutte paganti. Il presidente del Senato fa un breve discorso: dignitoso. Poi Riccardo Muti comincia con un gesto affettuoso, non veemente come lo ricordo in quelle tante, tantissime occasioni che ho potuto ascoltarlo e che hanno siglato un rapporto d’amicizia che dura dal 1971. Sembra quasi che nella sinfonia del Nabucco che conclude il concerto Verdi voglia dire attraverso il suono intimo a cui tutta l’orchestra sollecitata dal gesto del Maestro: “Non abbiate paura del genio!”. Pensare in grande, ragionare in grande non è presunzione ma la necessaria premessa perché la cultura possa, debba, abbia, il compito di diventare amica; una presenza cara a cui tutti, compresi i politici visibilmente commossi, tributano la loro riconoscenza. Ne riconoscono il valore. E non a caso Muti nella intervista concessa il 14 dicembre a “Repubblica” dice : “Basta autocelebrarsi. La nostra cultura vive sui singoli mentre il resto sprofonda”. “E diventata quasi una moda alzare il grido ‘salviamo la cultura’ ma dietro questo slogan che tutti ripetono, non vedo la sostanza”.
È come l’impresa assunta dall’altro caro amico che tanto mi ha insegnato, l’altro grandissimo che ha condiviso con me l’amore totale e assoluto per Dante, Roberto Benigni, che ha reso affettuosa la parola divina, la più grande che un poeta abbia osato pensare. Ecco allora che non importa se i miei studenti di un tempo dicevano di leggere Dante ma non lo facevano. Dante era una presenza amica che spiega l’oggi e impalca il futuro. Allora come diventava affettuoso e normale ritrovarci alla fine del corso dal Padellina che sa tutto la Commedia di Dante a memoria e che ha una trattoria dove custodisce le edizioni più rare di Dante dove mangi sotto il ritratto di Beatrice meravigliosi fagioli all’uccelletto e la ribollita a sfidarci nel recitare e quindi a rendere affettuosa e umana la storia di Francesca, di Ugolino, di Ulisse.
Ecco, pensare in grande, progettare in grande non è una colpa non è, come mi è stato rimproverato, che se l’Istituto faceva progetti non realizzabili per mancanza di soldi poi la “brutta figura” ricadeva sul Comune o sulla Provincia. Non si dovrebbe ragionare così, ma capisco che le esigenze politiche debbono essere attese o perlomeno seguite. Mi sono battuto per ottenere nell’imminente rinascita dell’ISR come ufficio culturale del Comune la presenza di un comitato scientifico che appoggiasse l’impervio lavoro del direttore. Sembra si sia ottenuto. Ho anche aspirato a farne parte. Ma quando mi si è fatta capire che la mia presenza scientifica è troppo ingombrante, che il mio pensare in grande turba e inibisce la capacità di realizzazione scientifica di qualcuno dei colleghi presenti nel comitato, allora capisco che è il momento di alzare le mani. Con tristezza ma con consapevolezza. Quella che nasce dall’autonomia della cultura. Quella che si esplica col pensare in grande tanto da riuscire, se si può a calarla dai cieli dell’utopia alla realtà affettuosa della storia. Ma se questo può provocare “scandalo” si ceda allora il passo.
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