di Maria Paola Forlani
I Musei Civici d’Arte Antica – Istituzione Musei Civici del Comune di Bologna hanno organizzato un’importante esposizione curata da Daniele Benati e Massimo Medica, che nasce dalla “fortunata” circostanza del deposito presso i Musei Civici d’arte Antica, da parte di un privato collezionista, di due preziose tavole raffiguranti la Madonna con Bambino e la Crocefissione, rispettivamente di Jacopo di Paolo (documentato dal 1378 al 1426) e di Simone di Filippo, detto dei Crocefissi (documentato dal 1355 al 1399). Le due opere, esposte insieme ad altri dipinti su tavola ed a miniature provenienti da musei e collezioni private, vanno ad accrescere il già ricco nucleo di pittura medievale presente all’interno delle Collezioni Comunali d’Arte e del Museo Davia Bargellini.
Questa mostra offre l’occasione di affrontare alcuni aspetti riguardanti le tipologie e le funzioni delle tavole dipinte a Bologna dai due protagonisti della produzione pittorica cittadina nella seconda metà del Trecento e nei primi decenni del Quattrocento. La produzione pittorica di Simone di Filippo appare prevalentemente volta a una destinazione devozionale, ovvero rispondente al bisogno d’immagini che favorissero un rapporto personale con il sacro nelle pratiche di preghiera e di meditazione individuali o collettive.
I dipinti presenti in mostra consentono di apprezzare quest’aspetto importante per comprendere l’arte di Simone, di cui si erano accorti già coloro che nel Seicento soprannominarono il pittore “dei Crocifissi”, evidenziando appunto l’efficacia devozionale della sua opera, particolarmente in rapporto a rappresentazione della Passione. Un buon esempio è dato proprio dalla Pietà Elthinl.
Come indica l’iscrizione, l’opera fu fatta dipingere per esecuzione testamentaria di Giovanni di Elthinl, forse studente straniero a Bologna, morto il 26 luglio 1368, affinchè la sua anima riposasse in pace. Giovanni è raffigurato in ginocchio davanti alla Vergine addolorata che piange sul corpo del Figlio. Un angelo raccoglie il sangue dal costato di Cristo in un calice, altri sei piangono al di sopra della volta celeste. L’elemento più impressionante del dipinto è la spada che cade dall’alto e si configge nel petto di Maria. Essa si riferisce alla profezia di Simone riportata in Lc.2,35: tuam ipsium animam pertransiet glaudius.
IL pathos scarno e austero che comunica la tavola di Simone chiama i fedeli a sperimentare la compassio meditando sul dolore della Vergine per il sacrificio di Cristo e pregando per la salvezza propria e del defunto Giovanni, la quale da quel sacrificio scaturisce, come sangue dal costato del Redentore. I tre Santi del Museo di Santo Stefano e i quattro della Compagnia dei Lombardi rappresentano la vasta attività di Simone per i polittici destinati a campeggiare sugli altari delle chiese cittadine, dove la funzione devozionale si combinava necessariamente con la funzione liturgica legata alla celebrazione eucaristica.
Jacopo di Paolo agli esordi è attivo, come Simone, nel cantiere di Mezzaratta, dove affresca due Storie di Mosè, eseguite forse sulla base di idee di Jacopo Avanzi, suo maestro, in cui è evidente l’apertura alle nuove istanze del neogiottismo. Il forte senso plastico nelle figure e la razionalità dell’impianto spaziale, riscontrabili ad esempio in dipinti quali la piccola tavola con San Giovanni Battista, di collezione privata, la piccola pala con Madonna in trono, (collezione privata), le tavolette con le Storie di santa Margherita, già collezione Stramezzi, ora divise tra la Fondazione Longhi di Firenze e la Galleria Moretti, sono infatti frutto di una diversa e nuova riflessione sull’esperienza di Giotto, e divengono espressione di una più moderna consapevolezza che dimostra lo scarto generazionale fra Simone e Jacopo, pur essendo d’altro canto entrambi gli artisti in grado di ottenere un ampio risalto nell’ambito cittadino, come attestano, soprattutto per Jacopo di Paolo, gli importanti riconoscimenti ottenuti in campo pubblico.
Tra le più ricche e determinanti per l’economia ed il commercio bolognesi, la Società della Seta conferma la scelta di affidare a Jacopo di Paolo, tra il 1424-1427, la decorazione degli Statuti della Società della Seta, continuando, così, l’opera del maestro Jacopo Avanzi, ormai defunto. Con questa decorazione miniata Jacopo consolida quel rapporto privilegiato con la compagnia che era iniziato negli anni ottanta del Trecento e che aveva trovato uno dei momenti più significativi quando il maggiore imprenditore della società, il ricchissimo Bartolomeo Bolognini, gli aveva commissionato prima del 1408 la realizzazione del polittico e delle vetrate della cappella di famiglia nella chiesa di San Petronio.
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