
Nando Rossi ai tempi del Pdci
Monia Benini e Fernando Rossi portano il Partito democratico in tribunale. Perché il marchio “Per il bene comune” appartiene soltanto a loro. Si risolverà a colpi di codice civile la diatriba sollevata dagli ex Pdci ferraresi, che nel 2008 fondarono il movimento Per il Bene Comune, presentatosi alle elezioni politiche con il senatore fuoriuscito dai comunisti italiani.
Il movimento venne fondato dal senatore ferrarese, eletto nella circoscrizione della Marche con il Pdci, nel 2008, dopo un lungo peregrinare successivo alla consegna della tessera dei comunisti italiani. Rossi e Benini (già segretaria provinciale del Pdci) uscivano da una stagione dei veleni che spaccò a metà il partito di Diliberto a Ferrara. Il nome di Rossi di lì a poco finì su tutte le cronache nazionali per il rifiuto di votare la fiducia al Prodi bis.
Uscito dal Pdci, Rossi – già assessore nell’era Soffritti – fondò dapprima Officina comunista, poi il Movimento Politico dei Cittadini e, quindi Per il bene comune, che alle politiche del 2008 candidò premier lo specialista in nano particelle Stefano Montanari, portato alla celebrità dagli show anti-inceneritori di Beppe Grillo.
Ora un’altra battaglia. Questa volta legale. Contro un antagonista che probabilmente nemmeno se ne accorgerà. Lo annuncia la stessa coordinatrice nazionale di Pbc, movimento che, come spiega la stessa Benini, lavora da quasi cinque anni sui temi della sovranità nazionale, della pace, della difesa della salute e dell’ambiente, del superamento delle divisioni ideologiche artificiose e della affermazione di una democrazia che sia bene comune di tutto il nostro popolo”.
Il motivo del contendere risale alle recenti elezioni amministrative del 2012, quando “abbiamo assistito alla presentazione di una cinquantina di “liste civiche”, per lo più fasulle è cioè emanazione degli stessi partiti del ‘centrodestrasinistra’”. Tutte liste che avrebbero riportato, parola più parola meno, la dicitura “per il bene comune”. Allora, “molti aderenti ci sollecitarono a promuovere azioni legali per tutelare la nostra diversità – spiega Monia Benini -, ma l’avvio di tali azioni si fermò di fronte alla impossibilità finanziaria di farlo”.
Processi troppo lunghi e costosi insomma. “Ci limitammo quindi a diffidare gli uffici elettorali dei comuni interessati e le liste che si erano appropriate del nostro nome, a fare un comunicato stampa postato anche sul nostro sito nazionale e inviato via Facebook e Twitter a migliaia di contatti”. Ma, evidentemente, non bastò.
“Da tempo – prosegue la portavoce dell’ex senatore Nando Rossi -, il Partito Democratico ha organizzato un’ampia, e milionaria, campagna mediatica con il logo “Italia Bene Comune”, arrecandoci un enorme danno politico e generando grande confusione in tante persone che ci hanno chiesto conto, via internet e nella assemblee ed incontri territoriali, di questo nostro supposto tradimento e accodamento al Pd”.
Eppure il ‘marchio’ di Rossi-Benini è registrato. Il nome è regolarmente depositato presso il Ministero degli Interni dal 2008 e iscritto presso l’ufficio Marchi e Brevetti della Camera di Commercio di Ferrara, con valore nazionale.
Ora, quindi, malgrado le “difficoltà finanziarie che permangono”, Pbc – nei giorni di massima visibilità in cui si vota per le primarie del centrosinistra, ndr – farà valere i propri diritti per via legale, dal momento che “vedere tutti i giorni il nostro nome gestito dal Partito Democratico è una ingiustizia che viene vissuta come un sopruso intollerabile dai nostri aderenti e dalle tante persone che sanno della inconciliabilità tra noi e l’oligarchia di quel partito”.
“Chiederemo – conclude Monia Benini – che sia la magistratura ad inibire al Pd l’uso del nostro nome, che gli italiani vengano correttamente informati che si è trattato di un abuso e che il vero Bene Comune è tuttora distinto e distante dal Pd”.
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