Eventi e cultura
21 Ottobre 2012
Festeggiati i 77 anni di attività con un incontro incentrato sulla storia della struttura

Museo Archeologico tra etruschi, fascismo e jazz

di Redazione | 3 min

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di Daniele Oppo

Il Museo Archeologico Nazionale di Ferrara ha festeggiato i suoi 77 anni di attività con un incontro in cui è stata raccontata la sua storia, fra archeologia, fascismo e musica jazz.

Gli etruschi, il fascismo e la musica jazz sono stati i temi scelti per raccontare la storia di Palazzo Costabili, detto “di Ludovico il Moro” o “della sussistenza” e che ospita quello che fu il Regio Museo di Spina, oggi Museo Archeologico Nazionale. Un momento utile anche per raccontare l’influenza del fascismo nella cultura ferrarese a cavallo tra gli anni Venti e Trenta.

Se è vero che “il fascismo fu un potente strumento di arretramento sociale, culturale e sanitario per la provincia e la campagna ferrarese” come ha precisato la studiosa Antonella Guarnieri, storica esperta dell’epoca fascista, durante la sua relazione, va anche riconosciuto il fatto che lo stesso fascismo fu occasione di una rinnovata vivacità culturale per la città, grazie ad alcuni eminenti personaggi dell’epoca: Italo Balbo, il podestà Enzo Ravenna e il giornalista Nello Quilici che divenne direttore del Corriere Padano, organo di propaganda ma che ospitò una “terza pagina” ricca con contributi, fra gli altri,  di Luchino Visconti, Ungaretti e dello stesso Giorgio Bassani.

Una vivacità culturale orchestrata da Italo Balbo, ferrarese e che in Ferrara aveva il suo feudo (tanto che “Mussolini non vi mise piede finché Balbo rimase in vita” ha detto ancora Guarnieri) e grazie al quale si recuperò il fatiscente Palazzo Costabili e lo si trasformò in un museo, per merito anche della scoperta -nel 1922- della città etrusca di Spina con la sua necropoli a distanza di pochi anni dall’acquisizione da parte dello Stato (che è del 1920).

Lo scopo era quello, non nascosto, di dare a Ferrara delle origini vicine a quelle romane, in piena conformità con la simbologia del Ventennio ben spiegata dalle relazioni degli studiosi Nizzo e Chiara Guarnieri.

La città estense visse un periodo di slancio culturale, tanto da ospitare convegni importanti sugli studi corporativi e, soprattutto, dare vita nel ’33 a una grande mostra di pittori rinascimentali ferraresi che in 14 mesi richiamò 70 mila visitatori; una mostra “di una modernità tale che ancora oggi viene studiata per la tipologia degli allestimenti” ha detto Antonella Guarnieri.

Cosa c’entra in tutto ciò il jazz? Ebbene, la musica jazz in Italia, come ha ricordato Mario Cesarano, è fortemente legata nelle sue origini nostrane con il fascismo. Musica rivoluzionaria e di libertà, -così come si presentava il fascismo- anche se arrivata da noi “in forma annacquata, da ballo”, molto presente nella radio italiana del regime e che ebbe un rapporto di amore con quest’ultimo durato, a corrente alternata,  fino alle Leggi Razziali del ’38. Da qui in poi la musica nata dagli afroamericani venne bandita e prima ancora subì qualche contraccolpo dal programma di nazionalizzazione culturale che portò anche a risultati buffi come, ad esempio, la trasformazione del nome di Louis Armstrong in Luigi Braccioforte. Il jazz si trasformò così in un’arma di scherno per il Regime -le “canzoni della fronda”-  da perseguire. Come lo furono ad esempio “Silenzioso Slow”, “Pippo non lo sa”, intesa come una presa in giro a Starace che camminava impettito per le vie di Roma (“Pippo non lo sa che quando passa ride tutta la città”) o “Maramao perché sei morto?” (che sarebbe stata diretta al figlio di Galeazzo Ciano), tutte canzoni eseguite dal vivo durante l’incontro da un gruppo di musicisti del Conservatorio Frescobaldi.

Jazz, infine, che ritornerà nella radio con l’annuncio della liberazione.

Il Museo ha così festeggiato i suoi 77 anni, ricordando le sue origini accompagnandole con la musica jazz e regalando  una mostra di due sculture “scoperte” dalla storica dell’arte Chiara Toschi Cavalieri: si tratta di due pannelli in gesso dello scultore Giuseppe Virgili, i cui bozzetti vennero esposti anche a Palazzo Diamanti ma che fino al 2009 -anno in cui vennero identificati dalla Toschi Cavalieri- erano rimasti chiusi, sconosciuti a tutti, nei sotterranei del Museo.

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