Cronaca
19 Aprile 2012
Il vescovo Rabitti interviene sul caso del bambino di Porto Garibaldi

“Comunione né negata né rimandata”

di Redazione | 5 min

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“Comunione negata o comunione preparata?”. Inizia così la lunga lettera che il vescovo Paolo Rabitti invia alle redazioni per mettere la parola fine alla polemica che ha investito don Piergiorgio Zaghi, parroco di Porto Garibaldi.

Tutto inizia, secondo il vertice della diocesi di Ferrara, alla fine di febbraio, quando i due genitori del bambino si presentano al sacerdote chiedendogli di ammettere alla prima comunione il loro bimbo, affetto da gravi problemi psichici.

Don Zaghi si riserva di parlarne con i catechisti prima di dare una risposta. Intanto incontra in via riservata l’insegnante di sostegno del bimbo, “per avere un quadro delle sue condizioni (fino ad allora non conosciuto né dal parroco né dai catechisti) e per avere suggerimenti circa le modalità più idonee per comunicare con il ragazzo”. L’insegnante si dichiara disponibile a collaborare con la parrocchia.

La richiesta viene presentata ai catechisti nella riunione del 29 febbraio. Ne esce una proposta-progetto che prevede due tempi: prima un approccio molto graduale del ragazzo agli ambienti della parrocchia (catechismo e messa domenicale), per passare poi ad incontri specifici tra il ragazzo, i suoi genitori, il catechista e il parroco con la partecipazione dei compagni di classe.

Dietro a questo percorso ci sarebbe sempre stata, a detta di Rabitti, l’intenzione, “espressamente comunicata ai genitori” di dare a tempo debito l’eucarestia al bambino, “all’interno di una celebrazione festosa apposita con la partecipazione dei compagni di classe, sui quali si faceva affidamento come tramite-traino (si pensava che vedendo gli amici accostarsi all’eucarestia, potesse anche lui accettare poi l’ostia consacrata, dal momento che il papà temeva l’eventualità che il figlio la sputasse)”.

La proposta viene illustrata ai genitori, “con l’unica richiesta di non porre scadenze di date prefissate. La cosa è sembrata da loro accettata”. Nel frattempo è stato dato ai genitori un cd, contenente un cartone animato e colorato sulla vita di Gesù ed è stato rivolto loro l’invito a portare qualche volta il ragazzo negli ambienti parrocchiali.

Si arriva a domenica 1° aprile, quando la madre chiede al parroco se ci fossero novità. Don Zaghi ha risposto “che le cose stavano andando secondo il progetto e di avere pazienza: la data del 5 aprile (Giovedì Santo) era prematura, rispetto a quanto si era ipotizzato a febbraio”.

Il giorno dopo, lunedì, verso le 13, dalla Curia di Ferrara il cancelliere telefona al sacerdote, chiedendo cosa stesse succedendo a Porto Garibaldi, dal momento che nella mattinata diverse mamme avevano telefonato dicendo che il parroco “non voleva” ammettere un bambino alla prima comunione e che loro non vi avrebbero mandato i loro figli. “Il parroco ha spiegato al cancelliere come stavano le cose e quanto si era ipotizzato con i genitori del disabile”.

Rientrando poi in canonica alle 13, don Piergiorgio trova una lettera firmata dai bambini delle due classi quarte, nella quale, tra l’altro, si dice che il parroco “non voleva ammettere” un loro compagno alla prima comunione.

Il martedì successivo il vicario generale ha comunicato al sacerdote che i genitori del bambino si erano recati con loro figlio in arcivescovado. Qui sono stati “accolti ed ascoltati in sostituzione dell’Arcivescovo assente. Anche in Curia ai genitori è stato detto che il momento sembrava non maturo (dato, peraltro, il rifiuto che il ragazzo aveva opposto al semplice gesto, effettuato tre volte in Curia, di offrirgli una “particola”, ovviamente non consacrata, ma in esemplare di quella che gli sarebbe stata offerta “autentica” durante la prima comunione) e sarebbe stato preferibile un lieve differimento”.

Nel frattempo, fu suggerito ai genitori di partecipare con il figlio alla prima comunione degli amici, e, intanto, “limitarsi a ricevere, con la stessa gestualità, non la particola ma una benedizione”.

Il parroco, allora, ha convocato per il martedì pomeriggio una riunione straordinaria dei catechisti per valutare insieme la situazione. “È stato concordato di convocare i genitori delle quarte classi, compresi quelli del ragazzo in questione, per spiegare loro come erano andate realmente le cose”. La riunione – moderata dai catechisti – è stata “molto animata ma complessivamente l’impressione finale  è stata che i genitori si fossero resi ben conto di come stessero le cose”.

Si arriva al famoso giovedì santo. Alle 21 si tiene la messa “in coena domini”, durante la quale tutti bambini delle quarte classi si sono accostati all’Eucarestia. “Era presente anche questo ragazzo disabile accompagnato dalla famiglia – prosegue Rabitti -. Dopo la comunione dei compagni il parroco è andato pure davanti al ragazzo, collocato negli stessi spazi dei loro compagni, con la stessa gestualità tenuta con i ragazzi appena comunicati e gli ha impartito una speciale benedizione, secondo le indicazioni ricevute dalla Curia”.

Il 14 aprile – d’intesa con l’arcivescovo – avviene un incontro del parroco e della catechista con i genitori e il loro ragazzo, “al fine di intensificare la preparazione alla Prima Comunione del figlio; e si è manifestata sia dai genitori che dal parroco la reciproca meraviglia su perché, su come e su chi potesse avere imbastito e diramato una sequenza di tante illazioni non fondate o addirittura costruite ad arte circa la presunta “comunione negata” al “disabile””.

Niente comunione “negata”, dunque, secondo la ricostruzione della curia, “in quanto non è mai stata messa in programma per il giovedì santo ). E nemmeno “rimandata”, “in quanto non si rimanda una cosa di fatto mai programmata per quel giorno; preordinata, invece, per il momento che fosse risultato più idoneo data la situazione”.

Infine la lieta notizia, almeno per i genitori: la Comunione “sarà sicuramente data appena possibile, al termine del progetto che fu approntato nella riunione dei catechisti il 29 febbraio scorso e ratificato anche dopo i fatti incresciosi avvenuti”.

“Quando ciò avverrà – conclude il vescovo -, il parroco, i catechisti e il bimbo avranno finalmente raggiunto il loro obiettivo, programmato fin dal primo giorno, assecondando di buon grado il desiderio espresso dai genitori del ragazzo disabile. Si ottempererà, in tal modo, sia alle direttive dell’autorità ecclesiale, sia all’orientamento perseguito dal sacerdote, adoperando quel prezioso “buon senso” che si deve porre in cosa tanto delicata”.

Il vescovo si sofferma poi sul diritto canonico in materia, terminando la sua lettera con una precauzione: “se poi fosse avvenuto che, certamente senza volerlo, i genitori o il ragazzo stesso non fossero stati accolti con tutta quell’attenzione e premura che la comunità cristiana deve loro offrire, dobbiamo, come fratelli, tutti chiedere loro scusa”.

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