Erano dieci anni che aspettava questo momento. Dal 2001, quando iniziò a raccogliere le prima testimonianze sul caso Solvay. Il figlio di un lavoratore morto per tumore gli raccontò della gioia della sua famiglia nel sapere che il padre era stato assunto a Ferrara. dalla campagna alla città. Dalla stufa a legna al riscaldamento. Scuole, autobus, supermercati. Il bagno in casa. “Però papà quando tornava a casa aveva sempre un cattivo odore, come di mandorla amara. Poi il papà è morto di tumore, con tante sofferenze. Cosa avremmo dovuto fare?”.
È una delle tante testimonianze che convinsero l’avvocato David Zanforlini a studiare la vicenda per conto di Legambiente. E ieri, a distanza di dieci anni, è arrivato il momento della sua arringa, quasi al termine di un processo lunghissimo e complicato, un processo (che vede imputati per lesioni colpose e omissione delle misure di sicurezza sei dirigenti di Solvay (ex Solvic) e Ici (Imperial Chemical Industries)) sul quale “aleggia comunque e sempre – avverte -, al di là di ogni valutazione giuridica, lo spettro di 78 operai morti delle più disparate patologie tumorali”.
In aula si discute solo di due di questi casi, quelli di Cipro Mantoan e Michele Mazzoni (a libro paga Solvay dal 1969 e dal ’62), costituiti parti civili e assistiti da Legambiente. Entrambi sono affetti da epatocarcinoma, diagnosticato rispettivamente il 13 novembre 2002 e il 22 gennaio 2005.
Secondo l’accusa i due ex autoclavisti hanno contratto la malattia in conseguenza dell’esposizione continuata e massiva al cvm. “Ricordiamo che questi operai – prosegue Zanforlini – scendevano dentro le autoclavi quasi ad ogni blocco, per scrostare a mano le pareti di acciaio dalle “croste” di pvc, che liberavano cvm vicino al volto; senza strumenti particolari di protezione”. E la prova del contatto fisico con il cvm “è data dalla testimonianza unanime sulla improvvisa sensazione di freddo che avvertivano, alle estremità ed ai genitali”. Per non parlare della ricerca delle fughe di gas dalle valvole e dalle guarnizioni, “che facevano abitualmente “a naso” per non fermare l’impianto e non gettare il prodotto in produzione”.
Tutte condizioni che secondo le parti civili quei lavoratori non dovevano sopportare. E nemmeno essere messi in condizioni di farlo. Eppure “esisteva all’epoca la possibilità di far lavorare in sicurezza gli operai all’interno del sito Solvic”. Si parla degli anni ’70, quando “si conosceva il rischio alla salute dei lavoratori della Solvic, ma la scelta non era di eliminare il pericolo. La realtà è che la tutela della salute dei lavoratori era ed è un costo e allora la strategia della dirigenza era di scegliere il costo minore: la dirigenza aziendale concedeva una retribuzione di “rischio”, cioè monetizzava il pericolo alla salute dei lavoratori”.
Già nel 1969, infatti, la comunità scientifica era in grado di conoscere la pericolosità del cvm e la Solvay soprattutto, secondo Legambiente, dal momento che l’azienda stessa commissionò al suo medico, Viola, i relativi studi. Ma le migliorie vennero adottate solo dopo il ‘74, e dopo la morte sospetta del primo operaio, Vanni Giovanni, avvenuta nel ’75.
Se a questo si aggiunge la convinzione dello Iarc (l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro) che ci sia un nesso causale fra esposizione a cloruro di vinile e le patologie cancerogene al fegato, ecco provata – secondo l’avvocato – la colpevolezza degli imputati. “Tutti ne erano a conoscenza – incalza Zanforlini – ed erano consapevoli del problema e delle disgraziate conseguenze dell’esposizione al Cvm e sapevano per certo che la loro inattività avrebbe provocato danni alla salute degli operai, ma nessuno si è adoperato per far cessare il pericolo. Questa è la realtà”.
Al termine dell’arringa Zanforlini chiederà la condanna al risarcimento di 100mila euro per Legambiente, 900mila per Mazzoni e 250mila per Mantoan (la pubblica accusa in sede di requisitoria aveva chiesto 3 anni e mezzo di reclusione).
L’altra parte civile, Inail, si concentra sulla “tutela del bene primario della salute del lavoratore, che è qualcosa di più di uno che percepisce denaro per una sua opera, ma è un soggetto creditore di sicurezza, secondo parole della Corte di Cassazione. La sicurezza non è un’entità immutabile”. Al termine dell’aringa l’avvocato Marco Zavalloni chiederà 490mila euro di risarcimento per gli indennizzi e ai due operai.
Al termine dell’udienza si sono registrate schermaglie tra le parti in merito al calendario da stilare fino alla sentenza, che nelle previsioni di giudice e difese avrebbe dovuto cadere a febbraio, rischiando così di vanificare lo sforzo processuale per Mantoan, la cui posizione cade in prescrizione a breve.
“sarebbe una beffa”, ha fatto notare Zanforlini, chiedendo al giudice Matellini di trovare una mediazione. L’unica data certa al momento è il 19 dicembre, quando parleranno le difese.
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