Cento. Due anni e un mese per minacce e istigazione alla corruzione. Il tribunale ha condannato in primo grado l’ex sindaco di Cento Flavio Tuzet al termine della discussione del processo che lo vedeva imputato insieme al consigliere di Rinascita Centese Alessandro Gennari e all’imprenditore Marco Ferrari, vicino agli ambienti dello stesso gruppo politico. Per loro due invece è arrivata l’assoluzione perché il fatto non sussiste. Tuzet dovrà pagare anche un multa complessiva di 10mila euro alle due parti civili).
Questa la sentenza emessa intorno alle 2.30 di ieri dal giudice collegiale (presidente Giorgi con a latere Rizzieri e Attinà).
In sede di requisitoria il pm Nicola Proto aveva chiesto un anno e sei mesi per l’ex sindaco e un anno e quattro mesi per gli altri due imputati. Una richiesta cui si era associato l’avvocato Fabio Anselmo per le parti civili (Carlotta Gaiani e la madre, Francesca Bonasoni), bollando le minacce come “bieca e becera strumentalizzazione politica” e considerando provocatoriamente come “se quelle emerse in dibattimento sono normale attività politica allora tanto vale depenalizzare la corruzione”.
L’avvocato Adami nella sua arringa aveva chiesto l’assoluzione per entrambe le ipotesi di reato. A partire da quella di istigazione alla corruzione, dal momento che il suo assistito avrebbe agito “con un interesse unicamente politico, quello di ricompattare la maggioranza”. Lo dimostrerebbe “l’assenza di qualsiasi riferimento al bilancio in tutta la conversazione avuta con Rudi Rodolfi” (il consigliere della lista civica Rinascita Centese cui venne offerto un posto nel cda della Cmv e una poltrona in consiglio provinciale alle elezioni successive, ndr). Lo stesso senatore Alberto Balboni, anche lui teste in aula in un’udienza passata, chiamato in causa da Tuzet come plenipotenziario del Pdl in provincia di Ferrara, “non parla mai di voto sul bilancio: se ne deduce che quando parla, Tuzet guarda oltre quell’ostacolo e pensa a come ricompattare la propria maggioranza nel periodo successivo, una attività completamente lecita”.
Sarebbe stato quindi lo stesso Rodolfi a interpretare quei 40 minuti di conversazione che registrò come “finalizzati a carpirgli il voto, ma non si può condannare una persona per un problema di percezione”.
Quanto alle minacce alla madre di Carlotta Gaiani (oggi assessore provinciale alle Attività produttive), impiegata comunale in ragioneria, invece, secondo il difensore “la frase contestata (il primo cittadino disse all’allora esponente dell’opposizione che se Il primo cittadino disse al microfono che se fossero stati in un’azienda privata ci sarebbero stati tutti i motivi per un licenziamento della madre, ndr) esce d’emblée da una conversazione in un contesto completamente diverso”. Si sarebbe trattato insomma di “un modo di dire”, ripetuto più volte in altre conversazioni e con altri riferimenti da Tuzet: “in questo modo la minaccia perde il suo contenuto di concretezza e pericolosità”.
Asssoluzione con formula piena era stata chiesta per Gennari dall’avvocato Marialuisa Di Maio, del foro di Bologna, valutando la deposizione in aula del consigliere della Destra Antonio Baroni (vai all’articolo http://www.estense.com/?p=141045) come “confusa, contorta e contraddittoria: di fronte a dichiarazioni così incongruenti non è possibile giungere a un giudizio di colpevolezza”.
Stesso discorso per la difesa Ferrari, rappresentata dall’avvocato di Bologna Lorenzo Alberti. È proprio Alberti il primo a uscire dall’aula per commentare la sentenza. “Finalmente giustizia è stata fatta – dice -; fin dall’inizio sapevamo di non aver fatto nulla di cui vergognarci”. Soddisfazione solo “parziale” invece per la difesa di Gennari, che aveva chiesto l’assoluzione con formula piena.
Chi ovviamente non si “aspettava assolutamente questo epilogo” è l’avvocato Adami, che premette come “anche questa come tutte le sentenze va rispettata”. Il legale fa capire che l’appello, una volta lette le motivazioni, sarà scontato, “anche perché come parametri di pena si è andati addirittura oltre alle richieste del pm”. Chi non si dice per nulla sorpreso è proprio Tuzet, che commenta amaro all’uscita del tribunale: “nessuna amarezza, sapevo che sarebbe finita così. Ho voluto combattere i poteri forti e questa è stata la mia condanna”.
“I fatti secondo noi erano oggettivamente gravi – interviene Anselmo – e i comportamenti contestati sono stati dimostrati in tribunale. La condanna era scontata”. Due parole ai cronisti le concede anche l’assessore Gaiani: “sono contenta che sia stata fatta chiarezza su quel periodo buio della città di Cento. Si è dimostrato che non era una mia percezione”.
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