Esce dal ventre della balena Vinicio Capossela. Con la scenografia che apre le costole del grande Leviatano. Inizia così il concerto di Ferrara Sotto le Stelle, con la canzone di apertura dell’album “Marinai, profeti e balene”, disco d’oro e dieci settimane consecutive nella top ten dei dischi più venduti a quattro mesi dall’uscita.
A metà tra il gusto onirico circense e la rappresentazione della tragedia greca, sul palco si alternano maschere, cavalieri, sirene, ciclopi e… capitan Vinicio. Cappello da ammiraglio in testa, Capossella presenta la sua ciurma e la sua nave, “allestita per tentare il guado del fossato del castello estense”.
E il guado diventa una traversata di circa due ore di concerto. Giusto una variazione sul tema con “Dalla parte di Spessotto” e si ritorna agli ultimi lavori come “L’Oceano Oilalà”, “Billy Budd”, “Lord Jim” e “I fuochi fatui”, perché “se è vero che al peggio non c’è mai fine, neanche al meglio c’è limite”.
Il cantautore accompagna quindi lo scarso pubblico (circa 1500 persone per uno spettacolo che per la qualità meritava il tutto esaurito) in un “viaggio antropologico in quel mare che è l’uomo”.
Le tappe di questo viaggio hanno i nomi dei grandi della letteratura. Dante, Coleridge, Melville, Conrad, Omero, il libro di Giobbe tradotto da Ceronetti e Celine. Proprio sulle note strappate da una piece dell’autore di Viaggio al termine della notte scoppia il boato del pubblico che riconosce “Pryntil”, la foca barbuta che si sente una sirena.
Accompagnato dal trio maschile delle Sorelle Marinetti – per l’occasione travestite da sirene – Capossela si fa sempre più istrionico, passando dalla giacca tentacolare indossata per “Polpo d’Amor” alla maschera da gorgone di “Medusa Cha Cha Cha” (dell’album Ovunque proteggi).
Si torna ai “Marinai” con i testi di Omero (“La lancia del pelide”, “Calipso”, “L’aedo”, “Dimmi Tiresia”) e l’ormai classica “Brucia Troia”, fino all’Ulisse – questa volta del testo di Dante – di “Nostos”.
Per non correr il rischio di prendersi troppo sul serio, ormai padrone del palco e del pubblico, Capossella abbassa i toni epici con “L’ Uomo Vivo (Inno Alla Gioia)”, tratto anch’esso da Ovunque proteggi, che fa alzare il pubblico dalle sedie per farlo ballare fino alle note impazzite de “Il ballo di S. Vito”.
C’è spazio anche per i vecchi classici, o “qualche relitto rispolverato”, come lo definisce l’autore, come un rivisitato “Che cossè l’amor” e “Morna”. Tra i tanti poeti infilati in scaletta sbuca anche Bob Dylan, del quale Capossella traduce When the ship comes (Quando la nave attraccherà): “un testo che parla di giustizia – spiega dal palco -. E nel 2011 in Italia credo che sia di attualità”.
La chiusura è affidata a “Le Sirene”, che a Ferrara assume quasi un tono autobiografico. “Le sirene ci seducono – dice al pianoforte – col canto di chi non siamo stati e di chi avremmo voluto essere. Ecco perché ci lasciano con la nostalgia, infiammazione del ricordo. E le mie sirene mi riportano in Via Voltapaletto, dove abitavo…”, confessa riferendosi agli anni trascorsi nella nostra città.
E mentre scompare a passo di ciurma nel ventre della balena di Melville, arriva il saluto di “noi soltanto che ci siamo salvati per potervelo raccontare”. Come Ismael.
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