E’ un’emergenza ambientale quella che da circa vent’anni – con una intensificazione negli ultimi dieci – sta interessando i canali della pianura padana. Si tratta dell’invasione di una nuova specie di gambero: il gambero rosso della Luisiana, più comunemente conosciuto tra gli abitanti del centro e del nord Italia come gambero killer.
Per saperne di più abbiamo intervistato Mattia Lanzoni, assegnista di ricerca del dipartimento di biologia ed evoluzione dell’università di Ferrara che da qualche anno è impegnato a seguire il fenomeno dell’invasione del gambero rosso nell’area dell’Italia centro settentrionale.
Comparso in Italia intorno alla fine degli anni ottanta, il gambero rosso ha cominciato a colonizzare la provincia di Ferrara attorno al 1996; inizialmente ha popolato il territorio argentano e dopo, grazie al fatto di essere una specie resistentissima agli stress ambientali e capace di spostarsi agevolmente anche via terra, ha raggiunto il basso corso del Po fino al delta. Oggi i terreni più popolati dal gambero della Luisiana, il cui nome scientifico è Procambarus clarkii , sono quelli di Jolanda di Savoia, Codigoro e Mezzogoro.
Cominciamo col toglierci la curiosità di sapere da dove derivi il soprannome di “killer”.
E’ presto detto: “si tratta di una specie molto aggressiva – spiega Lanzoni – e di fronte ad un predatore si mostra con fare minaccioso; al contrario dei comuni gamberi che davanti al pericolo indietreggiano – dice il ricercatore – il gambero americano cerca di mostrarsi il più grande possibile, alza le chele e avanza.”
Il motivo per cui, invece, questo gambero, dal sud degli Stati Uniti, sia arrivato fino al delta del Po arrivando a stimare, ad oggi, per questa specie, una densità di duecento tonnellate per diecimila ettari è il seguente:
“Innanzitutto è bene precisare che – dice Mattia – sul nostro territorio il gambero rosso non è il solo esempio di specie cosiddetta alloctona – cioè che vive in luoghi diversi da quelli in cui è nata; per citare altri casi potremmo fare riferimento alla nutria o al siluro”.
“L’introduzione del gambero rosso, in Italia – spiega il ricercatore – è avvenuta a causa di un interessamento di tipo commerciale. Dal lago di Massaciuccoli, in Toscana, dove è stato portato inizialmente per essere commerciato, il gambero è poi scappato o, in alcuni casi, è stato deliberatamente abbandonato in corsi d’acqua o sul terreno e da lì, trattandosi di una specie altamente invasiva e resistente, si è diffuso in completa autonomia”.
La risposta al perché questo gambero, come è successo anche per altre specie aliene, sia riuscito a diffondersi così bene nell’area del centro e del nord della nostra penisola Mattia ce l’ha data: “queste specie invasive– ha detto il ricercatore – hanno trovato, nella pianura padana, un ambiente che, a livello biologico, non è al massimo della conservazione e delle potenzialità ambientali. In questi habitat – spiega Lanzoni – le comunità di animali indigene sono in difficoltà perché non trovano più le condizioni ambientali idonee, invece le specie invasive alloctone possono trovare la loro massima espansione”.
“Inoltre – dice il ricercatore – esiste anche un’altra ragione per la quale le specie alloctone riescono a sopravvivere e a svilupparsi in ambienti a loro estranei ed è l’assenza dei loro predatori naturali. Il gambero rosso – prosegue Mattia – nel sud degli Stati Uniti ha come predatori la tartaruga, l’alligatore, il persico trota, il pesce gatto e anche alcuni uccelli ittiofagi. Ultimamente, qui da noi in pianura padana – dice Lanzoni – solo aironi e garzette hanno imparato a predare il gambero”.
Perché invece i pesci non riescono ad avere un impatto forte su questo animale? “Perché – spiega il ricercatore – il sistema di bonifica di Ferrara, per questioni legate alla sicurezza dei cittadini, nei mesi autunnali e ad inizio primavera mantiene il livello dei corsi d’acqua molto basso e questo fa si che le specie ittiche non riescano ad andare a predare il gambero che, nascondendosi lungo gli argini in tane lunghe circa un metro, riesce a svernare e a sopravvivere”.
A questo punto ci chiediamo: “l’invasione del gambero della Luisiana può provocare danni alle colture oppure agli argini”?
Proprio su questo punto il gruppo di ricerca dell’università di Ferrara, coordinato dai professori Remigio Rossi e Giuseppe Castaldelli, sta procedendo con lo studio e infatti Mattia ci spiega che l’emergenza ambientale è soprattutto legata a questo aspetto perché “maggiormente nei corsi d’acqua di non grande portata e nelle risaie, il bucherellamento del terreno unito al fatto che il gambero si nutra, tra le altre cose, delle radici che sostengono gli argini internamente, determina una minore tenuta stagna e una minore compattezza degli stessi argini che possono franare”.
“E’ già da parecchi anni – spiega il ricercatore – che la Provincia, i consorzi di bonifica e il Servizio provinciale protezione flora e fauna lavorano insieme a noi dell’università di Ferrara per cercare di monitorare e limitare questa specie. L’eradicamento – dice Mattia – è invece impossibile”.
Cosa sii può fare per limitare i danni?
“Da un alto – spiega Lanzoni – bisognerebbe mantenere leggermente più alto il livello idrico dei corsi d’acqua per un periodo di tempo più lungo, durante l’anno, così da aumentare la presenza di pesci predatori del gambero soprattutto durante la primavera quando ci sono i nuovi nati; dall’altro si potrebbe rendere più consapevoli i pescatori di una possibile commercializzazione di questa specie di gambero a fini gastronomici”.
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