“Una volante aveva fermato un ragazzo in via Ippodromo”. Una frase che era passata inosservata in mezzo alle migliaia di parole ascoltate nel corso delle oltre 30 udienze del processo Aldrovandi. E che ora, invece, separata dal resto del dibattimento attraverso la breve sequenza di un programma televisivo, sembra quasi illuminante.
È l’ispettore della Digos Nicola Solito che parla. È un momento della seconda puntata di Un giorno in pretura che sabato notte è andata in onda su Rai Tre, con il titolo “Aldrovandi, una fine senza senso”. Solito, durante l’esame in aula, ricostruisce i drammatici momenti in cui fu incaricato di avvertire la famiglia.
Quel giorno si trovava a casa, in riposo settimanale. In via Ippodromo fervevano le operazioni per identificare quel ragazzo senza documenti morto durante la colluttazione con quattro agenti di polizia. In un primo momento si pensò potesse essere un frequentatore dei centri sociali. E allora chiamarono Solito, ispettore della Digos, per vedere se riusciva a riconoscerlo.

Fermo immagine da 'Chi l'ha visto?'
Una tragica coincidenza ha voluto che quel ragazzo fosse il figlio di suoi amici, gli Aldrovandi, che conosceva da vent’anni. E Federico lo aveva visto crescere. Era anche compagno di scuola di suo figlio. Toccò a lui l’ingrato compito di avvisare i genitori di quanto era accaduto.
Si ricorderà che fu proprio Solito, la mattina dell’ultima udienza, prima della sentenza, lo scorso 6 luglio, a consegnare nella mani della famiglia una lettera, nella quale, ripercorrendo il suo personale dolore per la vicenda, scrisse con riferimento a quei fatti “gente che è arrivata a fare quello che ha fatto è capace di tutto”.
E al giudice Caruso riferisce “dalla centrale operativa mi era stato detto al telefono che una volante aveva fermato un ragazzo in via Ippodromo e che dopo un po’ era morto lì”. Evidentemente all’ispettore nessuno aveva fatto cenno a disturbi della quiete pubblica, a nessuna telefonata di residenti spaventati dalle urla, a nessun intervento per impedire atti di autolesionismo. Gli è stato semplicemente riferito che “una volante ha fermato un ragazzo”.
“È un dettaglio che era sfuggito a tutti in aula – commenta Patrizia Moretti, la madre di Federico -. L’importante è che il giudice sia arrivato lo stesso a quella conclusione. La nostra convinzione è sempre stata che ci fosse stata una volante che incontrò Federico ben prima che la gente chiamasse il 112. Evidentemente lui lo sapeva. E lo ha detto”.
Il resto della puntata ha ripercorso l’angoscia della famiglia durata diverse ore. Federico non è tornato a casa e non sanno cosa ne è di lui. Vengono poi le prime indagini svolte nell’immediatezza della morte. La mancata chiamata alla pm di turno, Maria Emanuela Guerra, che – in base alla ricostruzione successivamente fornita al Csm dal magistrato – fu convinta a non recarsi sul posto dal momento che le era stato prospettato un caso di semplice soluzione, probabilmente riconducibile a una morte per overdose.
“L’accusa ha il sospetto – spiega la conduttrice Roberta Petrelluzzi – che la polizia volesse fare tutto da sola, senza il pm, per accertarsi prima di cosa fosse successo. La polizia voleva normalizzare una situazione che normale non era”.
Dopo la morte di Federico vennero sentiti gli abitanti di via Ippodromo. Anche qui si fa strada il sospetto delle parti civili che eventuali testimoni potessero essere stati intimiditi. Anche il giudice Caruso chiede agli ufficiali di polizia perché era necessario sentire gli abitanti, “era forse in dubbio la versione dei colleghi?”. E il questore di allora, Elio Graziano, definisce quella del ragazzo “una morte oggettivamente strana”.
E oggi quattro poliziotti sono indagati nell’ambito dell’inchiesta Aldrovandi bis, per presunte irregolarità (omissione di atti d’ufficio, falsa testimonianza, favoreggiamento) avvenute durante lo svolgimento delle indagini.