
L'avvocato Gabriele Bordoni
Da Ferrara il caso Aldrovandi passa a Bologna. Dopo la sentenza di primo grado che ha condannato i quattro poliziotti a 3 anni e 6 mesi per omicidio colposo, ora – com’era lecito attendersi – il collegio di difesa chiede di rivedere quella verità processuale.
Il contenuto del ricorso, depositato ieri mattina dagli avvocati Gabriele Bordoni, Giovanni Trombini, Michela Vecchi e Alessandro Pellegrini, è tutto nelle parole di Bordoni, che sottolinea come la vicenda sia diventata appunto un “caso”, “molto prima dell’inizio del processo”. Fatto che “non ha giovato, a causa del clima che si è creato attorno agli imputati, all’accertamento della verità”.
Di tutta la vicenda processuale, Bordoni estrapola “come punto dirimente, che già feci presente al giudice in sede di discussione e che non ho trovato nelle oltre 500 pagine di motivazioni della sentenza, il significato da assegnare alla condotta di Federico”.
Quando il ragazzo, dopo la prima colluttazione e una volta giunta sul posto anche la seconda volante, “lascia l’ombra del parchetto, si avvicina ai quattro agenti e sferra un calcio alla poliziotta”. Un’azione “documentata dalle stesse parole di Anne Marie Tsegue (la testimone oculare camerunense che venne esaminata in incidente probatorio, ndr)”.
Quel gesto, per la difesa, è “estremamente indicativo dello stato di profonda alterazione in cui si trovava Federico: parliamo non di un delinquente, ma di un ragazzo normale”. “Perché allora – si chiede Bordoni – un ragazzo normale, già coinvolto in una colluttazione, nel momento in cui vede i poliziotti lontani, anziché dileguarsi rimanendo così anonimo ed evitando di finire in carcere, gli va invece incontro per attaccarli?”.
Questo atteggiamento “perfettamente speculare a quanto raccontato dalla Tsegue”, confermerebbe “la tipologia di approccio avuto da Federico nel primo incontro con gli agenti, così come confermato dalle relazioni degli imputati e dai segni sulla macchina”.
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