Cronaca
3 Luglio 2010
La società prendeva appalti in perdita pur di lavorare

Coopcostruttori, il buco dopo la caduta del Muro

di Marco Zavagli | 3 min

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È Renato Nigro, uno dei tre commissari straordinari sentiti dalle parti, a spiegare come “la Coopcostruttori continuava sul percorso per il quale era stata progettata ed ebbe un impatto con una realtà diversa, fatta di rettifica dei lavori rispetto a come erano stati originariamente progettati e di ribassi, per cui le aziende o lavoravano in perdita o non lavoravano e preferivano chiudere”.

E, stando alla ricostruzione avvenuta in amministrazione straordinaria, l’azienda di Argenta scelse la prima opzione, “acquisendo a partire dal 1991 appalti a prezzi sottocosto” continua Nigro, forte del “chilometro di documenti” che all’indomani del fallimento, nel 2003, si è trovato ad esaminare.

L’esame di Nigro, cui hanno fatto seguito quello degli altri due commissari, Franco La Gioia e Alberto Falini (subentrato nel 2007 a Ettore Donini), è stato al centro anche delle domande dei legali di parte civile. Sulle emissioni di Apc (azioni di partecipazione cooperativa) si sono concentrate in particolare le attenzioni dell’avvocato Carmelo Marcello, che ha chiesto di saper quali accertamenti fossero stati fatti in precedenza e se sussistevano le condizioni per emetterne. Proprio su questo punto si basa infatti uno dei capi di imputazione rivolta ai massimi dirigenti della cooperativa: erano state prospettate ai piccoli risparmiatori condizioni diverse da quelle successivamente riscontrabili dal punto di vista contabile e normativo? In sostanza per quale motivo l’azienda emise Apc: per fare investimenti come previsto dalla legge oppure per coprire le perdite di bilancio? I commissari su questo hanno avuto pochi dubbi, confermando i dubbi di parte civile, secondo i quali – ipotesi questa sposata anche dalle indagini delle procura – ci fu una carenza di informativa in sede di emissione.

L’esame di Nigro è stato anche vagliato dall’avvocato di Renzo Ricci Maccarini (il numero due del cda), il penalista Lorenzo Valgimigli, che ha chiesto spiegazioni in merito alle differenze di valutazione del deficit rese dai commissari: la prima valutazione, dopo 30 giorni dall’incarico, parlava di circa 300 milioni di euro di buco; la seconda si assestava sul miliardo poi contestato dalla procura.

La risposta è semplice: i 300 milioni “si riferivano al deficit finanziario presunto che, dopo gli aggiornamenti arrivati nelle mani dei commissari, divenne a conti fatti il miliardo e 70 milioni definitivo”. le prime stime, tra l’altro, non furono facili, dal momento che l’azienda, nonostante gli oltre 90 cantieri aperti al momento del fallimento, “poteva contare – racconta Nigro – solo su un responsabile coadiuvato da due addetti”. Gli stessi dipendenti amministrativi, circa 300 fino al 2002, si dimisero in blocco passando anche a società concorrenti, creando comprensibilmente “problemi nella ricostruzione – aggiunge il commissario – che eravamo chiamati a compiere”.

La prossima udienza, fissata per il 16 luglio, vedrà l’esame di cinque ufficiali della guardia di finanza che seguirono le indagini.

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