Attualità
15 Maggio 2017
I ricercatori l'hanno chiamato Gastrochaenolites messisbugi, in onore del cuoco della corte estense Cristoforo di Messisbugo

Nelle colonne delle Poste di Ferrara riposa un fossile di 185 milioni di anni

di Redazione | 2 min

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Uno studio condotto da un gruppo di ricerca internazionale coordinato da Davide Bassi e Renato Posenato del Dipartimento di Fisica e Scienze della Terra dell’Università di Ferrara ha identificato una serie di reperti fossili inediti risalenti a circa 185 milioni di anni fa, conservati nella roccia delle colonne delle Poste Centrali di Ferrara.

La ricerca, pubblicata sulla rivista internazionale “Historical Biology”, ha permesso di descrivere una nuova specie fossile e apporta un importante contributo nel campo dell’icnologia, disciplina che studia le tracce lasciate dagli organismi vissuti sul nostro pianeta milioni di anni fa.

«Così come i paguri, che per sopravvivere ai predatori vivono in conchiglie di gasteropodi, numerosi bivalvi marini perforatori costruiscono delle tane perforando gusci di invertebrati più grandi per vivere al loro interno», illustra Bassi. «Alla morte del bivalve le tane si possono preservare, e diventano vere e proprie tracce definite icniti».

Lo studio ha permesso l’individuazione di una nuova specie di icnite. «Si tratta diicniti di bivalvi perforatori risalenti al Giurassico Inferiore, che avevano scavato la propria tana in gusci di lithiotidi, bivalvi di grandi dimensioni vissuti in una precedente era». Peculiare la localizzazione del reperimento degli esemplari, ritrovati nella roccia delle colonne che impreziosiscono il Palazzo di via Cavour. «E’ una roccia di poco più antica di quella utilizzata nella facciata della Cattedrale e nel bugnato del Palazzo dei Diamanti che si è formata durante il Giurassico, periodo in cui i grandi dinosauri popolavano il nostro pianeta, territorio italiano compreso».

«Aspettando il mio turno alle Poste, per ingannare l’attesa all’aperto, ho cominciato ad analizzare le colonne, notando alcune tracce interessanti» racconta Bassi. Dopo le prime verifiche, il coinvolgimento nella ricerca di un team internazionale, composto da James H. Nebelsick (Università di Tübingen, Germania), Enrica Domenicali (Museo di Casa Romei, Ferrara) e i giapponesi Masato Owada (Università di Kanagawa) e Yasufumi Iryu (Università di Tohoku).  «Grazie al ritrovamento abbiamo potuto ricostruire la successione di eventi che ha portato alla formazione della icnospecie, particolarmente interessante perché dimostra come questi bivalvi fossero presenti anche dopo l’estinzione di massa del Triassico-Giurassico, che aveva causato la scomparsa della maggior parte degli organismi perforatori», spiega Bassi.

«I grandi bivalvi lithiotidi popolavano fondali lagunari fangosi e dopo la loro estinzione, probabilmente dovuta a tempeste, piccoli bivalvi perforatori come quelli da noi individuati ne colonizzarono i gusci per sopravvivere».

«Le caratteristiche uniche dei reperti fossili ritrovati in questo luogo inaspettato – conclude il ricercatore – ci hanno permesso di istituire una nuova specie di icnite che abbiamo denominato Gastrochaenolites messisbugi, in onore del cuoco della corte estense Cristoforo di Messisbugo».

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