Attualità
19 Febbraio 2017
La rabbia del cantautore: "Il debito pubblico non esiste. Non dormo più, il mio cuore sente tutto il dolore del mondo"

Povia a Ferrara canta l’economia che non vuole l’euro

di Redazione | 4 min

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di Silvia Franzoni

La Sala Estense, venerdì sera, era piena. C’erano famiglie, piccole fan, tanti capelli bianchi, diversi giovani e giovanissimi. Sono le 21 e qualcosa e le luci sul palco finalmente si spengono. A Ferrara, va in scena Giuseppe Povia che canta l’economia.

L’evento-concerto – sulla pagina Facebook del cantante, Ferrara è inserita tra le date del tour per la presentazione del disco a rimborso spese – è organizzato da Gruppo Economia Ferrara (Gecofe) e da Emmaus San Nicolò (Fe), con il patrocinio del Comune di Ferrara.

L’incontro si intitola “I cittadini fanno ooh!”, ma per i cittadini ferraresi è un Ooh! di ben poca meraviglia. Alla prima occasione utile – quando il pubblico è interrogato circa il proprio sogno nel cassetto – nessun aspirante astronauta alza la mano; si distingue solamente un “mandare a casa l’amministrazione ferrarese”, “mandare a casa almeno il sindaco”, “il Palaspecchi”.

L’insoddisfazione cittadina scoppia d’improvviso come il temporale che si accende in piazza Municipale. Ma non è Ferrara la regina del ballo in Sala Estense: tra passi di salsa e ritmiche rap, la festa è tutta per ‘NuovoContrordineMondiale’, il nuovo disco di Giuseppe Povia. E le danze si aprono a suon di “il neoliberismo gioca con il destino dei popoli”, così come sosteneva il rivoluzionario africano Thomas Sankara.

Ma chi è Povia – o meglio, Povìa? Nel 2006 la sua ‘Vorrei avere il becco’ l’ha portato sul gradino più alto dell’Ariston. Molti in sala lo conoscono per questo. Ma ora è tutta un’altra storia. Povia è un “papà che ha deciso di fare qualcosa sul serio”, lo presenta così Claudio Pisapia (Gecofe). “Faccio tutto per loro”, ricorda il cantante mentre dedica ‘T’insegnerò’ alle figlie. Per loro ha “studiato per quattro anni economia, e quanto dice ha una base scientifica. Certo, non è un economista, nessuno di noi lo è, ma ci siamo accorti che qualcosa non ci convinceva”, continua Pisapia. E allora, Povìa, accortosi che qualcosa non andava, ha reagito. ‘Meglio fallire che non reagire’ urla un cartello sul palco. Se ne starà a mo’ di monito per l’intera serata.

Povia canta, e canta “condensando in 5 minuti di canzone moltissimo, molto meglio delle conferenze di due ore”, lo loda Pisapia. Canta ‘Chi comanda il mondo’, ‘Job Act’ e ‘Il debito pubblico’, intermezzando l’esibizione con schemi e tabelle che passano rapide alle sue spalle. Sullo schermo passano anche citazioni di famosi nomi dell’economia: Michal Kalecki, William Vickrey, Charles Goodhart. “Io traduco in canzone quello che dicono loro, il debito pubblico non esiste”, spiega Povia prima di far partire la base della canzone successiva.

Il NuovoContrordineMondiale ne ha un po’ per tutti. “È per questo che non passa in radio, è per questo che ho 24 querele. Ma non mi importa, io lo dico”, spiega il cantante. E dice di Draghi, della Merkel, della Commissione Europea, dei trattati di Maastricht e di Lisbona, del liberismo, dell’euro. Li appella tutti con aggettivi poco lusinghieri: “meglio una moneta sovrana che una moneta puttana”, recita una strofa. C’è spazio anche per la massoneria, “vera burattinaia dell’Unità d’Italia” spiega Povia – che cita documenti d’archivio e la posizione del prof. Eugenio di Rienzo – e poi canta “Garibaldi ha rubato oro e soldi, il Sud era ricco e very good”.

I temi trattati sono tanti, arrivano veloci nelle orecchie e non hanno il tempo di rimbalzare che già ce ne sono di nuovi. “Ma non voglio convincervi di qualche cosa, mi basta che vi entri un tarlo” spiega Pisapia di nuovo sul palco. Un tarlo che bisbigli domande: “e se invece di debito pubblico lo chiamassimo accredito pubblico? Perché il Giappone dopo lo Tsunami ha ricostruito e noi a L’Aquila siamo messi come nel 2009? Perché il pareggio di bilancio? Da dove salta fuori il tetto del 3% per la spesa nazionale?”.

Il pubblico è trascinato da parole e musiche, fischia e urla e applaude al ritmo di “sfioriamo il 3%”. Povia sul palco balla a piedi nudi, un po’ come danza propiziatoria per i sogni collettivi che Giuseppe Bosi (Gecofe) enuncia come Manifesto del Gruppo: “una lobby del cittadini che faccia pressione perché le leggi siano fatte a nome e per conto di tutti i cittadini, non solo delle banche e della finanza. Non vogliamo l’austerità, meritiamo di più”, dice.

Povia chiude il concerto – prima della conosciutissima ‘I bambini fanno oh’ – con ‘La terminologia del bimbiminkia’, che suona come una critica a tutto e all’opposto di tutto e, fra l’altro, è uno degli epiteti che ha rivolto a Estense.com per attaccare il nostro articolo in cui annunciavamo la sua presenza a Ferrara. Tornando alla recensione, ogni suo brano ha questo basso continuo che è il rumore – e la rabbia, forse – della delusione, quella del “vecchio comunista che arriva a dire di rimpiangere Berlusconi”, per citare Povia. Una delusione che in Povia è mondiale, totale, perché “non dormo più per questi argomenti – chiosa il cantante – il mio cuore sente tutto il dolore del mondo”.

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