di Silvia Franzoni
È nella sua Ferrara che Marcello Simoni presenta ‘Il marchio dell’Inquisitore’, il giallo storico che lo scrittore comacchiese ha scritto per Einaudi Stile Libero rispondendo così alla necessità della casa editrice di deviare dalla tematica satura del poliziesco contemporaneo. Detective e indagini fanno dunque un passo indietro di oltre quattrocento anni, e sono affidate alle mani del frate inquisitore Girolamo Svampa, “la vera novità del romanzo”.
Non c’è più il medioevo, che già aveva fatto da cornice delle precedenti trilogie di Simoni, ma c’è una “Roma vaticana in cui nessun prete va a Messa, dove i prelati sono burocrati impegnati in un pericoloso gioco di influenze e sovrapposizioni”, evidenzia Simoni. Si bruciano uomini e libri, ed è questo buio seicento “la culla da cui nascono molte superstizioni e paure che noi invece rimettiamo al medioevo”. Le pagine del romanzo restituiscono con accuratezza storica il metodo di indagine della ‘dubitatio incerta’ e il funzionamento dell’Indice dei libri proibiti, ma lasciano spazio ai personaggi perché si autodeterminino. Così, al protagonista Svampa, intelligente e schivo, fa il verso padre Capiferro, “una nemesi del protagonista – continua – una figura realmente esistita che ho dipinto come anti-Watson, un po’ frate e un po’ moschettiere”. Tornano anche gli acerrimi nemici, figure ormai poco presenti nelle pagine dei libri: “è il divertimento dei noir storici, perché qua c’è davvero chi vuole mettere al rogo qualcun altro”.
Le indagini del romanzo si sviluppano su più binari e i crimini sono efferati come ogni giallo che si rispetti, “ma se la morte si presenta sempre un’estetica ben precisa – spiega Simoni – bisogna anche che ci sia dell’humor”: così i cambi di tono sono frequenti, le battute dei personaggi sfociano spesso nell’ironia – e riecheggiano dei madrigali seicenteschi – e i dialoghi sono ariosi; “io parlerei quasi di romanzo cinematografico”, chiosa il giornalista Matteo Bianchi che presenta l’incontro.
Nell’opera dello scrittore ferrarese c’è tanta Chiesa e ci sono tanti libri, entrambi perfetti protagonisti. La prima si spiega chiamando in causa il fascino esercitato sull’autore dal mondo ecclesiastico e dalla teologia, “un universo dalle tante correnti, quale è quello delle Chiese, perché ogni epoca storica ha la sua, a cui mi sono sempre avvicinato con spirito critico, benchè credente”; i secondi invece sono il mezzo attraverso il quale “far riecheggiare le pagine delle stesse atmosfere degli scriptoria medievali ora in mano ai tipografi, moderni amanuensi: io volevo raccontare delle tipografie romane proprio quando nella capitale si bruciava il maggior numero di libri”.
‘Il marchio dell’inquisitore’ sa dunque essere un giallo, perché ne conserva la struttura che al genere diedero penne come quelle di Poe e Christie, ma non è solo un giallo: “c’è tanta introspezione, c’è l’indagine dell’animo umano – spiega – è questo che rende il libro un buon libro”. Una romanzo leggero, come lo definisce lo stesso autore, ma complesso, che è autoconclusivo eppure lascia aperta la possibilità di svilupparsi in altre opere: “se proprio devo pensare ad un seguito – chiosa Simoni – direi che mi piacerebbe sviluppare Svampa come personaggio seriale”. Ma la penna dello scrittore già freme in attesa di sviluppare le “tante idee che ho nel cassetto: per me la scrittura è la mia isola felice, lì mi sento protetto”.
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