Spettacoli
29 Agosto 2016
Anche quest’anno un successo, ma niente nostalgia: per i trent’anni l’edizione sarà speciale

I buskers salutano Ferrara, ma è solo un arrivederci

di Redazione | 5 min

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di Silvia Franzoni

Il Buskers festival è finito. Il sipario della 29esima edizione è calato dopo 11 giorni di Festival, 4 città visitate – oltre a Ferrara, bisogna contare le tappe di Mantova, Comacchio e Lugo – e più di 2.000 ore di spettacoli. È calato davanti all’inchino di fine esibizione dei 20 gruppi invitati – 4 quelli della nazione ospite, l’Austria – e delle circa 300 formazioni di artisti che hanno animato la città, e che provengono da 35 paesi del mondo. Ne avremmo potuti avere di più, se fossero state accettate tutte le 1905 richieste proveniente da 95 Paesi, ma Ferrara non è infinita. E sarebbero venuti gratis, perché come ricorda il direttore artistico Stefano Bottoni, “nessuno è stato mai pagato per venire a suonare a Ferrara, solo i 20 gruppi invitati ricevono vitto e alloggio: tutto il resto avviene con spontaneità”.

“Una grande soddisfazione – commenta il vicesindaco e assessore alla Cultura Massimo Maisto -. È stata una delle migliori edizioni, e non è facile visto che sono 29. Molto interessante e stimolante dal punto di vista artistico, impeccabile dal punto di vista organizzativo, premiata da un pubblico numerosissimo già dai giorni infrasettimanali”.

Tutto merito, dunque, di quel feeling magico creato dal Buskers Festival che il prossimo anno spegnerà 30 candeline: le ottime risposte di pubblico – “sono aumentate anche le prenotazioni nei giorni durante la settimana”, fanno sapere dal Consorzio Visit Ferrara – e la qualità degli artisti permettono di assicurare che “per il prossimo anno – spiega Luigi Russo, direttore organizzativo – faremo qualcosa di speciale”. Le date già ci sono – dal 17 al 27 agosto 2017 – e più voci, interne al team della kermesse, assicurano qualcosa di esplosivo.

Ma la fine dei Buskers porta con sé la fine dell’estate e l’inizio di molte cose poco divertenti: i battenti delle scuole apriranno tra poco, così quelli degli uffici, e i giovedì sera in centro torneranno ad essere un piacevole deserto di ciottoli e sanpietrini. Abbiamo dunque pensato di proporvi 20 cartoline scanzonate degli artisti invitati che vi hanno tenuto compagnia per questa edizione, giusto per crogiolarvi ancora un po’ nel calore delle emozioni che hanno saputo regalare.

Art4Strings. Sono insegnanti di musica classica e hanno solcato i grandi teatri d’Europa, ma hanno saputo rimettersi in gioco per strada armati solo di due violini, una viola e un violoncello: camaleontici.

Kallidad. Sono tre, ma fan per cento. Hanno il viso pitturato, due chitarre e un cajon e sanno creare di volta in volta un’atmosfera un po’ messicana, un po’ metal, un po’ tribale, per certo sempre infuocata: esotici.

Krakòw Street Band. Sanno sempre confezionare il brano adatto ad ogni tipo di pubblico. Un po’ di sassofono, un pizzico di violoncello e di ukulele, poi chitarra e percussioni quanto bastano: politicamente corretti.

Die Wandervogel. Il quartetto austriaco porta in scena un repertorio dimenticato per troppo tempo, fatto di musica popolare tedesca, armonie yiddish, e vecchie canzoni scozzesi: archeologi della musica.

The Dark Jokes. I tre kilt scozzesi impreziosiscono il loro progressive rock di chiara derivazione britannica con una voce graffiante e ci aggiungono un po’ di movenze alla Pete Doherty: stupefacenti.

Peppe Millanta & Balkan Bistrò. Abruzzesi e travolgenti, mescolano taranta e ritmi balcanici in una ricetta che promette di farvi saltare e ballare e saltare ancora e poi di nuovo ballare: esplosivi.

Tablao Sur. I loro caldi cajon e quei velocissimi passi di flamenco hanno incantato davvero tutti, riuscendo a far smuovere anche i muscoli intorpiditi del più pigro tra i passanti: terapeutici.

Joel Rodrigues. Di chitarre ne suona tre, contemporaneamente, con una scioltezza quasi soprannaturale datagli da una tecnica di tapping sopraffina: luminare.

Los Boozan Dukes. Sono inglesi, italiani e spagnoli, suonano – tra gli altri – sassofono, ukulele e washboard, e sanno canalizzare diverse culture in un Jazz anni ’40: musici erranti.

Konnexion Balkon. I sei artisti sono una vera e propria strampalata orchestra polifonica che passa da un genere all’altro in un battibaleno – e a volte li suona contemporaneamente: simpaticamente bipolari.

Mozartband. La loro operazione è delle più complesse: attualizzare Wolfgang Amadeus Mozart. Il connubio tra fisarmonica e voce soprana è incredibile, ma dovete masticare un po’ di armonia: elitari.

Ram Z the Human Soundsystem. Lo strabiliante beatboxer calca le strade da vent’anni ma si chiede ancora: “perché mi applaudite tanto in due giorni ho raccolto solo 10 cent?”. Fiducia nell’umanità: troppa.

Who Cares?. Il caso li accompagna da oltre vent’anni: si sono incontrati per caso, hanno cominciato a suonare insieme per colpa del destino e una coincidenza li ha portati a Ferrara. La loro stella-guida è Bob Dylan: ah, la dea Fortuna!

No Funny Stuff. Sono gentiluomini con le bretelle e in perfetto stile anni ‘20 suonano annaffiatoi e scatole di latta. Sono riusciti a far ballare un coppia sulla settantina: travolgenti.

Pavement Orchestra. Hanno tre voci particolarissime, un sound delicato e poetico, e uno strambo teabox: son tre fratelli, per loro la musica è un affare di famiglia.

Airportorgeler. Forse i più canuti, ma di certo non i meno frizzanti. Hanno portato in città i suoni delle Alpi svizzere, tra fisarmoniche, contrabbassi e talerschwingen: intramontabili.

The Troblue Notes. Nel trio, il vero protagonista è il violino e pare proprio prendere vita di brano in brano, ha emozioni e umori, sembra davvero di sentirlo parlare: extra-dimensionali.

Radiocorrere Swing. Dalla Valle d’Aosta con furore, armonium, piume e swing anni ’30. Gli arrangiamenti sono quelli originali ma l’esibizione è diversa ad ogni spettacolo: ruggenti.

Houjuva Komppi. Il quintetto finlandese mesce ballate sentimentali a ritmi blacanici e conta un particolare contrabbasso con porta-birra per unire dovere e piacere: equilibrati.

ThreeWorlds. L’armonia delle loro voci, il suono pizzicato dell’arpa e quello delicato del flauto, rende le sonorità delle tre sorelle russe uno spettacolo di cui godere ad occhi chiusi: incantevoli.

Menzione speciale alla coppia di ultraottantenni che, deciso di dare una moneta al proprio artista preferito in segno di gradimento, non si decideva a farlo perché “mi vergogno a passare davanti a tutti, ci vada lei per favore”: per loro nessuna esibizione, ma la richiesta è stata il suono più dolce del Festival.

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