Recensioni
22 Maggio 2016
Mostra aperta a Palazzo Pitti fino all'11 settembre

Buffoni, villani e giocatori alla corte dei Medici

di Redazione | 5 min

di Maria Paola Forlani

Si è aperta fino l’11 settembre 2016, nell’Andito degli Angioini di Palazzo Pitti, la mostra Buffoni, Villani e Giocatori Alla Corte dei Medici a cura di Anna Bisceglia, Matteo Ceriani e Simona Mammana (catalogo Sillabe).

L’esposizione presenta alcuni dei più bizzarri e inaspettati soggetti figurativi ricorrenti nelle collezioni medicee che tra Cinquecento e Settecento, trovarono significative, e talvolta curiose, rappresentazioni artistiche. Si tratta di scene cosiddette ‘di genere’, un universo figurativo che nella acclarata gerarchia della pittura barocca, permetteva di illustrare, spesso anche con intenti morali o didascalici, diversi aspetti comici della vita sociale e di corte, quei temi ritenuti, cioè, altrimenti bassi e privi di decoro, indegni di una pittura alta, di soggetto sacro, mitologico o storico.

Le opere selezionate, circa una trentina, provengono per la massima parte dai depositi della Galleria Palatina e dalla Galleria delle Statue e delle Pitture (entrambe facenti parte della Galleria degli Uffizi), e presentano al visitatore personaggi marginali e devianti come buffoni, contadini ignoranti o grotteschi, nani e praticanti di giochi tanto leciti che illeciti. Nella società apparentemente immobile dell’antico regime, cui danno volto nelle sale di Pitti i ritratti dei granduchi e dei gentiluomini della corte, la pittura ‘di genere’ diviene strumento critico che permette di attingere, attraverso l’arte, alla più variegata realtà del mondo.

Un campionario variopinto, quanto inaspettato, di personaggi della corte medicea, incarna l’ambivalente mondo della buffoneria, della rusticitas e del gioco. Sono spesso personaggi realmente vissuti, cui erano demandati l’intrattenimento e lo svago dei signori, antidoto alla noia sempre in agguato tra le maglie del rigido cerimoniale spagnolesco. Così dimostrano il grottesco più sgradevole del Nano Morgante del Bronzino e, all’opposto, la leziosità cortigiana dei Servitori di Cosimo III de’Medici.

La comicità di questi soggetti, non esente nel profondo anche da risvolti drammatici o almeno malinconici, si declina nei buffoni di professione, qui rappresentati nei tre tipi: della parola – abilissimi nelle acrobazie verbali e nelle improvvisazioni di

spirito-; del fisico – l’anomalia degli acondroplastici e dei deformi -; e, infine, della devianza mentale come il Meo Matto di Giusto Suttermans.

Considerati alla stregua di giocattoli viventi, di meraviglie della natura degne di una Wunderkammer, ma anche accorti consiglieri dotati di speciali licenze rispetto all’etichetta della corte, questi buffoni, nani, giocolieri dotati di speciali licenze rispetto all’etichetta della corte, questi buffoni ricordati per imprese (e talvolta misfatti) che li inseriscono come persone reali nella vita della corte, la cui biografia può esser tratteggiata con sapienti dettagli, e di molti si può chiarire l’alto spessore umano e culturale. La posizione dei buffoni, a metà strada tra il divertimento e la coscienza parlante del signore, li eleva a protagonisti di un’arte giocosa e bizzarra, che permette anche all’artista felicissime libertà espressive: e valgano da esempio i ritratti del nano Morgante di Bronzino e Valerio Cioli, i caramogi nelle Stagioni di Faustino Bocchi, il Meo Matto di Suttermans e tanti altri presenti nella mostra, oltre alle figure silvane o occupate in strane attività che spuntano inaspettate tra le siepi del Giardino di Boboli.

Partecipano inoltre alle buffonerie alcuni rustici, come la vecchia in abito di nozze, patetica corteggiatrice di un giovane garzone, smascherata da un nano impietosamente arguto in un quadro bellissimo della fine del Seicento, ma di incerta attribuzione, o come la contadina Domenica dalle Cascine, raffigurata dal Sutterman- ritrattista ufficiale dei granduchi – nel quadro omonimo, che risulta saltuariamente stipendiata dalla corte per prestazioni da “buffone”.

Appartengono invece al mondo della buffoneria di mestiere Alberto Tortelli e Giuliano Baldassarini raffigurati da Nicolò Cassana in veste venatoria, sospesi dunque tra il piano figurativo dell’ambientazione arcadica, non altrimenti qualificati

di segni allusivi al ruolo svolto a corte, e quello della verità biografica che ce li restituisce al mestiere di addetti al divertimento del gran principe Ferdinando.

Della serie dei servitori fa parte anche il magnifico quadruplice ritratto di Servi della corte medicea con cui Anton Domenico Gabbiani offre una sorta di regesto di forme e temi, qui antologizzati nel bizzarro campionario di personaggi – tra cui un nano, un gobbo, un moro – tutti realmente documentati come ‘prestatori d’opera’, servile o buffonesca, a palazzo.

Tra gli svaghi un posto non meno trascurabile di quello occupato dai suscitatori del riso avevano i giochi, nelle molteplici fattispecie di quelli di parola, da tavolo – in particolare le carte -, e quelli propriamente fisici. Non mancano testimonianze pittoriche, oltre che letterarie, di svariati personaggi di corte intenti all’esercizio di un gioco ginnico, come l’enigmatico Ritratto di giocatore con palla.

Lo scenario meno lecito ed aulico dello svago, l’equivoca taverna ai margini dei ‘regolari’ confini della società, esercita una fascinazione sulla corte che ne ricerca e ne acquisisce le rappresentazioni alle proprie collezioni, come nel Suonatore di chitarra, riconducibile al Maestro dell’Incredulità di San Tommaso (alias Jean Ducamps ?), in cui il giocatore/ musico squaderna senza pudore sul tavolo, cui si appoggia, i proibitissimi dadi e un mazzo di carte.

Le forme del comico si costruiscono dunque, nel percorso che si propone, per via del contrappunto tra norma e difformità, regola e sproporzioni, registro alto e sregolatezza. In questo gioco di (s)proporzioni, il brulicante e frenetico affollarsi di affaccendatissimi pigmei in alcune opere di Faustino Bocchi, tra cui il corteo de La mascherata di gnomi (il gatto Mammone) e le minuscole nudità de I Nani al bagno

immerse nella vacuità d’abisso notturno della lavagna su cui sono dipinte, rappresenta l’esito estremo della grammatica delle distorsioni, in cui il bresciano fu maestro. Non manca nemmeno il lampo demoniaco che la società attribuiva spesso, con enorme crudeltà, alla natura deforme nell’inquietante Banchetto grottesco

di creature più o meno umane e fornite di corna e nello straordinario musical infernale di Orfeo nell’Ade di Joseph Heintz il giovane dove caramoggi e nani ballano su uno scalone da fare invidia al miglior palcoscenico di Broadway.

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