Politica
16 Maggio 2010
Intervista a Giovanni Impastato, fratello di Peppino, ucciso dalla mafia

Dove vanno oggi quei 100 passi?

di Redazione | 3 min

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Giovanni Impastato, fratello di Peppino, ha fatto tappa ieri a Ferrara per presentare il libro – di cui è coautore con il giornalista Franco Vassia, che lo ha intervistato – “Resistere a Mafiopoli – La storia di mio fratello Peppino Impastato” [Ed. Stampa Alternativa, Roma, 2009].

All’incontro, organizzato presso il circolo Arci Bolognesi, è arrivato intorno alle 19: Estense.com lo ha intervistato.

Giovanni Impastato, è possibile resistere a Mafiopoli?

Sì, dobbiamo resistere. In questo momento gli spazi di libertà si stanno restringendo sempre di più: nel Paese si sta tentando di legalizzare l’illegalità. Ecco perchè noi dobbiamo avviare un’azione di contrasto non solo contro la mafia, ma contro un sistema di potere che cerca di limitare questi spazi di democrazia.

Come nasce l’idea di scrivere questo libro?

“Resistere a Mafiopoli” nasce da una precisa esigenza: molti mi chiedevano come mai non avessi ancora scritto questo libro. Così ho cercato, con grande umiltà, di ripercorrere una storia di resistenza che parte dalla infanzia insieme a Peppino, fino a oggi.

Un suo ricordo di Peppino?

È il Peppino scanzonato, non il solito Peppino impegnato nelle battaglie politiche, nelle grandi battaglie di civiltà e democrazia. È il Peppino impegnato a Radio Aut, che prendeva in giro i mafiosi nella trasmissione “Onda pazza”, divertendosi e divertendo. Questo è il ricordo più bello che ho di lui.

In questi 32 anni, da quando suo fratello è stato ucciso, è cambiato il potere della mafia?

È cambiata la mafia stessa. Ed è cambiata pure l’antimafia. Attraverso Peppino – sia da vivo, che da morto –, noi abbiamo vissuto un percorso storico difficilissimo, perchè abbiamo rotto con la cultura mafiosa. Peppino ha rotto non solo con l’ambiente che lo circondava, ma soprattutto con la propria famiglia, che era di origine mafiosa. È così che Peppino ci ha dato un segnale molto forte: ci ha fatto capire che la mafia non è esclusivamente un problema di ordine pubblico, ma è soprattutto un problema culturale. Peppino ci ha fatto capire che, se si vuole, si può rompere con la mentalità mafiosa. Questo messaggio è stato in parte recepito positivamente dalle nuove generazioni: perchè è un esempio di impegno civile, culturale, ma soprattutto educativo. Credo che il sacrificio di Peppino – ma anche di tantissimi altri che in questi anni sono stati uccisi dalla mafia -, sia servito a qualcosa.

I cento passi di oggi da dove partono e dove finiscono?

I cento passi partivano dalla nostra casa ed arrivavano alla casa di Gaetano Badalamenti. Ora questi cento passi li abbiamo quasi azzerati per un semplice motivo: la casa del boss di Cinisi è stata confiscata in base alla famosa legge 109/96 ed è stata assegnata alla nostra associazione. Oggi non c’è solo la casa memoria Impastato, ma c’è anche la casa Badalamenti (che diventerà un centro culturale, ndr): questi cento passi li abbiamo quindi quasi eliminati. A dimostrazione di una cosa molto importante: cioè che la mafia si può battere. Peppino è stato ucciso 32 anni fa, ma oggi noi quella mafia l’abbiamo sconfitta.

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