È proprio nelle vicinanze del sito archeologico “Abitato di Spina”, dove pochi giorni fa gli uomini della Soprintendenza Archeologia dell’Emilia Romagna hanno portato alla luce un basamento con decorazioni in bassorilievo e fregi chiaramente riconducibili all’epoca augustea, e prima ancora i resti di un faro romano, che i finanzieri della Tenenza di Comacchio hanno denunciato due “tombaroli” per illecite ricerche archeologiche e sequestrato oltre 700 reperti dei quali si stavano impossessando.
Si tratta di frammenti ceramici (verosimilmente orli, pareti, anse e fondi), suddivisi tra ceramica in vernice nera, ceramica grigia e ceramica grezza di notevole pregio e interesse: alcune riportano da un preliminare esame, tracce di rotellature e palmette a stampo, tutti di epoca etrusca.
I reperti sono stati trovati nel bagagliaio di una macchina di un centese con l’hobby dell’archeologia: era quasi il tramonto quando i finanzieri che perlustravano la zona lo hanno sorpreso insieme ad una donna munito degli attrezzi del mestiere, una pala e un sacco. Ma questa volta i finanzieri non si sono trovati di fronte ai classici tombaroli alla ricerca di oggetti antichi da piazzare a collezionisti sul mercato illecito, ma di persone appassionate di studi classici convinti che la grande storia si nasconda nei piccoli reperti ritrovati: nelle loro case ubicate nel centese sono stati scoperti altri 1.600 frammenti di ceramica, dei quali circa 500 con decorazioni dipinte a figure nere e figure rosse di epoca etrusca ed altre riferibili apparentemente ad età rinascimentale. Gli altri 1.100 pezzi ritrovati a seguito delle perquisizioni effettuate devono essere ancora classificati.
“Le testimonianze del passato – spiegano le fiamme gialle -, spesso cariche di un valore aggiunto in quanto opere d’arte, sono considerate testimonianze aventi valore di civiltà e segni della memoria e dell’identità collettiva, principi così importanti da essere elevati a rango costituzionale. Le ricerche non autorizzate, che depredano i siti archeologici e le antiche sepolture, con lo scopo di lucrare dalla compravendita degli antichi vasi e degli altri oggetti preziosi, rendono spesso vano ogni tentativo di ricostruzione e studio. La collaborazione fra la Guardia di Finanza e la Sovrintendenza Archeologia Emilia Romagna a difesa del bene pubblico, conferma come sia importante difendere l’identità del territorio per riportare alla luce resti che testimoniano l’esistenza di civiltà antiche e impedire che tali beni possano essere sottratti al patrimonio storico-archeologico del Paese”.