Sabato 7 novembre alle ore 18 vernissage all’Idearte Gallery di via Terranuova 41. In parete la mostra personale di Alo, al secolo Carlo Andreoli, intitolata “Arte dichiarativa al cubo”.
Nel corso del vernissage, il critico e storico dell’arte Lucio Scardino accompagnerà i presenti alla scoperta di un artista “fuori dalle righe” ; una ventina di tele, rigorosamente in dimensione 50×50 centimetri, frutto di una graffiante ricerca estetica dell’artista bondenese.
Alo, seguito da anni da Lucio Scardino, ne descrive l’impegno terzomondista ed il forte substrato ideologico nelle graffianti opere dedicate a città e paesi del mondo come: New York, Marsiglia, India, Americhe, Milano,Rovigo e tante altre.
La Mostra resterà aperta fino al 22 Novembre con orario 10.00/12.30 – 16.00/19.30. Sabato e domenica su appuntamento.
Di seguito la curiosa intervista di Fabio Musati ad Alo, svoltasi davanti a un piatto di risotto e a varie bottiglie di vino rosso:
“A 11 anni fondevo barattoli di plastica e di metallo con l’accendino. Li raccoglievo dove capitava e li bruciavo in cantina per farne delle sculture. Non sapevo bene cosa stessi facendo e perché, ma mi piaceva vedere come la materia si trasformasse; era distruzione e creazione, penetrazione della realtà. C’era la puzza, l’odore di bruciato, anche quello era parte della creazione. Le cose che si deformano, si sciolgono, dicono del proprio dolore. Facevo quello, non c’era intenzione, solo il lasciarsi andare a quello per ridurre a elementi minimi. Un sorta di alchimista al contrario.
Poi rimettevo insieme i frammenti e i residui su un tavolo di legno. Non volevo dire niente, cercare niente. Mi piaceva e basta. Mi piaceva l’estetica diversa di quella materia trasformata.
Un amico mi disse che facevo pop art. Non avevo mai sentito nominare la pop art, ma era un bel nome. Mi informai. Scoprii che facevano più o meno quello che facevo io.
In televisione vidi uno sceneggiato sulla vita di Ligabue. La televisione era in bianco e nero, eppure i colori uscivano lo stesso. Convinsi mio padre a portarmi a vedere una sua mostra nel mantovano. Ligabue era di quelle parti. Io sono di Bondeno. Stessi paesaggi grigi, la nebbia, il Po. E il colore di Ligabue: dipingeva gli animali come solo Van Gogh ha fatto. C’era la sofferenza, la selvaticità, la gioia, la tragedia di essere preda. C’era tutto in Ligabue. Vera pop art, arte popolare, che tutti potevano comprendere. L’arte deve essere semplice, popolare, alla portata di tutti.
Se faccio un quadro e lo vendo per cinquanta Euro, c’è qualcuno che lo vede e io ho i soldi per farne altre cinque. E’ solo questo. Non c’è bisogno di altro.
Guglielmo Mari era bondenese, come me. Un grande artista. Usava smalti allo zinco su tela in maniera pazzesca, con contrasti fortissimi. Ritratti di amici, ambienti con una forza espressiva pop, veramente popolare. Usava colori semplici, naturali, violenti, diretti, comprensibili da tutti.
Aveva qualche anno più di me. Era il mio amico e il mio maestro, anche se lui non si sentiva maestro di nessuno.
Dovevamo fare una mostra insieme a Bologna. Ci volevano 200 mila lire. Era uno spazio importante. Io avevo 100 mila lire per andare a Parigi con Angela ed altri amici. O Parigi o la mostra. Scelsi Parigi. Guglielmo ci rimase male. Quella mostra non l’abbiamo più fatta. Lui morì qualche anno dopo”.
Fabio Musati
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