Economia e Lavoro
5 Ottobre 2015
Al Festival di Internazionale confronto tra Girolamo De Michele, Mauro Piras e Christian Raimo

Sulla scuola tante parole ma manca il dialogo

di Redazione | 3 min

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_MG_2182di Anja Rossi

Tre docenti di filosofia in tre diversi licei italiani, un solo problema: la riforma dettata da La buona scuola. Su cosa voglia dire fare una politica sull’istruzione, quali limiti abbia la scuola italiana oggi e come si possa superare questa complicata situazione, sono intervenuti lo scrittore ed insegnante a Ferrara Girolamo De Michele, Mauro Piras del liceo Gioberti di Torino e Christian Raimo, docente e penna di Internazionale.

La buona scuola è diventata negli ultimi mesi, secondo i tre docenti, un tema ben poco approfondito e molto urlato, sul quale è necessario fare chiarezza. “In realtà negli ultimi dieci anni – sottolinea De Michele – del mondo della scuola non se ne è mai parlato così tanto come adesso, ma il problema è che questo dialogo rimane solo tra gli insegnanti e non viene correttamente diffuso dalla stampa mainstream”. Secondo il docente, “la buona scuola è un processo già avviato dal 2004 e mira a depotenziare soprattutto la didattica, trasformandola in un progetto aziendale con tanto di stage in azienda. Si perdono in questo modo tutta quella serie di competenze che fanno acquisire ai ragazzi la capacità necessaria non solo di interpretare un testo di Leopardi, ma anche leggere e comprendere la tabella degli orari ferroviari. Come diceva don Milani, una scuola che dia gli strumenti per poter capire che contratto di lavoro andranno a firmare. Ma cosa serve tutto questo se poi ora i ragazzi lavorano in nero?”.

Per Mauro Piras, La buona scuola non è una vera riforma. “Affrontare la questione dei precari non è la riforma della scuola, ma un suo presupposto. Ci sarebbe invece da rispondere ad altre questioni, come la dispersione scolastica, per la quale i ragazzi abbandonano prima di finire il ciclo scolastico, o la formazione per cui sono poi carenti delle informazioni di base che porta a una sorta di analfabetismo strutturale e li rende incapaci di sopravvivere nella società complessa in cui viviamo. La natura della scuola oggi è di una realtà che respinge anziché accogliere e insegnare”.

Quanto alla struttura della didattica, se per De Michele bisogna scorporare i dati, che evidenziano che la zavorra di analfabetismo è legata al passato pre-sessantottino e alla scuola privata, per Piras la scuola che crea problemi “è quella del 1859, della legge Casati, dell’impianto del regno piemontese che ci portiamo ancora dietro. È una didattica rigida, che crea una passività a cascata su tutti gli altri fronti. In questo modo, i ragazzi ci perdono in autostima, non apportando la loro attività nel mondo. A fare la differenza sono gli insegnanti, che non devono stare sulla difensiva ma proporre, smuoversi di più”.

Incentivato da Raimo a parlare dell’esempio ferrarese, che vanta a livello nazionale una alta sperimentazione didattica, Girolamo De Michele preferisce non rispondere. “No, non ve ne parlo, perché questa realtà non esiste più. Dalla nostra volontà di avere una scuola aperta tutti i giorni, tutto il giorno, abbiamo ricevuto dalla passata amministrazione provinciale del Pd ferrarese l’imposizione di fare in modo di chiudere i programmi, perché una scuola aperta al sabato costava in riscaldamento. Si è quindi deciso di comprimere la didattica in cinque giorni e non sei, di togliere i progetti curricolari che arricchivano e davano la possibilità di sperimentare. Ora abbiamo ottenuto delle scuole bellissime, ma vuote”.

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