Cronaca
10 Febbraio 2015
Dalle intercettazioni: "Le perizie devono mettere a posto le cose: la partita deve sembrare bella pulita"

Cona, la procura chiede dieci condanne

di Ruggero Veronese | 6 min

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unnamedRichieste di condanne fino a 2 anni e 4 mesi per gli imputati del maxi processo sugli appalti dell’ospedale di Cona, con nomi eccellenti, come l’ex direttore del Sant’Anna Riccardo Baldi e l’ingegnere capo del Comune di Ferrara Fulvio Rossi.

E’ quanto ha chiesto ieri la pm Patrizia Castaldini al termine della sua arringa, puntando tutto sulla parola chiave “consapevolezza”.

La consapevolezza del direttore del Consorzio Cona, Guglielmo Malvezzi, dell’irregolarità delle perizie di variante che gonfiarono i costi dell’opera, quella del collaudatore Andrea Benedetti riguardo ai propri conflitti di interesse in cantiere, o quella del direttore dei lavori Carlo Melchiorri sulle procedure non proprio trasparenti nel controllo del calcestruzzo. Le prove della loro – per ora ancora presunta – malafede passano attraverso la lettura di decine di intercettazioni con confessioni e confidenze degli imputati, che la Castaldini alterna con consulenze e riscontri tecnici per dimostrare sia la sussistenza di un danno per la collettività sia la consapevolezza di tecnici e amministratori di quanto stava avvenendo sotto i loro occhi.

Ma procediamo con ordine, viso che i capi di accusa e i relativi reati sono numerosi e in molti casi indipendenti gli uni dagli altri. I temi principali sono tre: la presunta irregolarità delle perizie di variante approvate dall’azienda Sant’Anna, che secondo la procura ingigantirono i costi dell’appalto attraverso opere già previste nel primo contratto; la qualità del calcestruzzo, che risulterebbe impoverito a livello di cemento e che quindi non garantirebbe la regolare durata dell’ospedale; e la questione dei ‘rimborsi’ richiesti e ottenuti dalle aziende – per i pm in maniera irregolare – per l’acquisto dei materiali edilizi. Tre questioni attorno a cui ruotano i presunti reati degli imputati: dalla carenza di controlli da parte dei responsabili del cantiere alla truffa mediante la produzione di documenti falsi da parte del consorzio Progeste.

Veniamo alle perizie di variante, che per legge dovrebbero essere approvate solo in casi di “sopravvenute esigenze”, come i cambiamenti normativi, e che comunque non dovrebbero superare complessivamente il 5% del costo dell’appalto. Ma per la Castaldini la situazione era molto diversa: all’interno delle varianti venivano inserite nuove opere, ridisegnate aree già edificate o aggiunti impianti già presenti nel primo progetto. Un modo, secondo la procura, di gonfiare le spese a vantaggio delle imprese per poi presentare ‘a rate’ il conto alla Regione. Ne è un esempio la quinta perizia, definita la “variante di una variante” e che la pm giudica addirittura “un vero carrello per la spesa“. In una telefonata del dicembre 2009, il direttore dei lavori Carlo Melchiorri cerca un accordo con Guglielmo Malvezzi sulle pretese della sempre più esigente Progeste: “Cosa mettiamo dentro la quinta perizia? C’erano la sala didattica e l’aula magna?”, chiede Melchiorri. “Quelle c’erano già nella prima variante, inseriamo qualcos’altro”, gli risponde il capo del consorzio. Una prova, secondo la pm, che dietro all’approvazione delle varianti non vi era alcuna “sopravvenuta esigenza” o modifica normativa.

Dei problemi inerenti alle perizie si mostrava cosciente anche il responsabile unico del procedimento (Rup) Giorgio Beccati, che nelle telefonate a Melchiorri confida che “questa perizia fa fatica a leggersi sulla legge, perchè sono opere già previste nel contratto”, e che “le perizie devono mettere a posto le cose: la partita deve sembrare bella pulita“. In un’altra telefonata a Malvezzi, Melchiorri afferma di voler “approfittare della quinta perizia per mettere dentro altre cose, tutte le piccole cose utili per il contenzioso“. Il riferimento è alla disputa tra Sant’Anna e Progeste, che nel 2009 chiedeva all’ospedale 68 milioni di euro di maggiori oneri di costruzione.

ospedale conaPassiamo al calcestruzzo, che vede come protagonisti da un lato la ditta Calcestruzzi Spa e dall’altro gli organi di controllo del cantiere. La tesi della procura è semplice: la miscela utilizzata per alcune parti dell’ospedale – tra cui le platee della fondazione – contiene meno cemento rispetto al progetto e alle necessità della struttura, vista l’altra umidità della zona e la falda acquifera a pochi metri nel sottosuolo. Fatto che secondo il consulente tecnico della procura, l’ingegner Marinelli, dimezzerebbe l’aspettativa di vita del nuovo ospedale rispetto ai cento anni previsti della normativa. In una telefonata il direttore dei lavori Melchiorri a una conoscente racconta che “è venuto quello dell’impianto per fare il prelievo dalla betoniera”. “Abbiamo visto che erano quelli della Calcestruzzi e di un’altra ditta a prelevare i campioni“, gli risponde l’altra, e il direttore dei lavori continua: “Sì, non li tenevamo in cantiere. Andavano a fare la maturazione nell’impianto (della Calcestruzzi, ndr)”.

La procedura, secondo la procura, era in realtà la stessa che la Calcestruzzi ha  effettuato per numerose opere pubbliche e che l’estate scorsa ha portato il presidente Mario Colombini alla condanna per 4 anni e mezzo in primo grado in seguito agli accertamenti sul nuovo ospedale di Caltanissetta. Nel processo siciliano è stato accertato che il materiale venduto dalla Calcestruzzi non coincideva con le ordinazioni e che lo stesso sistema informatico dell’azienda era predisposto per viaggiare su un “doppio binario”. Il risparmio così ottenuto sarebbe dell’11,7% sul totale del calcestruzzo venduto.

Altro punto chiave riguarda il rimborso per i materiali acquistati da Progeste. Il consorzio infatti nel 2011 ottenne dal Sant’Anna 2,6 milioni di euro dimostrando che il costo di alcuni elementi, in particolare il ferro, era aumentato rispetto alla firma del contratto. Dichiarazioni fasulle secondo la procura, e create ad hoc mediante dei fac-simile inoltrati dai responsabili del consorzio. “È uscita legge per la compensazione sui prezzi dei materiali – afferma in una telefonata Malvezzi -, il direttore dei lavori per riconoscermi più soldi ha bisogno delle dichiarazioni“. Da quel momento comincia la corsa a ottenere le certificazioni dalle aziende in grado di procurarle: “Avrei bisogno di una dichiarazione che dica che rispetto al 2005 i prezzi si sono alzati: vi passo i fac-simile”, spiega Malvezzi a un imprenditore amico, che subito chiede: “Si, ma cosa ci guadagno? Hai qualche lavoro? Perchè c’è la possibilità di un aiuto concreto” . Sibillina la risposta del presidente del Consorzio Cona: “Posso ricordarmi di te, se ci mandi quella dichiarazione“.

Tutta una serie di irregolarità attorno a cui gravitano i – presunti – reati descritti dalla Castaldini: dalla truffa per cui è imputato Malvezzi al falso per cui sono imputati gli organi di controllo del cantiere come il Rup Beccati, il direttore dei lavori Melchiorri o il collaudatore Benedetti (secondo la procura anche in conflitto di interesse, in quanto aveva lavorato in tempi recenti con Progeste e nelle intercettazioni se ne dichiara cosciente). Alla fine le richieste di condanna sono di due anni e quattro mesi per Beccati; due anni per Ruben Saetti (presidente del cda Progeste), Melchiorri e Andrea Benedetti; un anno e mezzo per l’ex direttore del Sant’Anna Riccardo Baldi; un anno per Giuliano Mezzadri, progettista di Progeste, Guglielmo Malvezzi, per l’ingegnere capo del Comune di Ferrara Fulvio Rossi (componente della commissione collaudo), per l’addetto alla contabilità Roberto Trabalzini e per il responsabile del controllo di produzione Nicola Fakes.

L’unica richiesta di assoluzione Mario Colombini, presidente di Calcestruzzi Spa. “Questo è uno di quei casi in cui la realtà dei fatti è diversa dalla realtà processuale” afferma la Castaldini lasciando intendere di essere convinta della colpevolezza dell’imputato, ma di non poterlo provare in dibattimento perchè, rispetto al processo di Caltanissetta, non è stato ascoltato il testimone chiave, Salvatore Paterna. “Ci avrebbe spiegato passo a passo il sistema di depotenziamento del calcestruzzo – afferma il pm -: si trattava di forniture con cemento inferiore e se fosse stato sentito come testimone ci avrebbe spiegato il motivo: non si trattava di inadempimenti contrattuali, ma di un sistema che la Calcestruzzi usava su tutto il territorio nazionale. Lo scopo era quello di aumentare il guadagno sul cemento”.

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