Economia e Lavoro
24 Gennaio 2015
I lavoratori in esubero col lutto al braccio davanti ai cancelli per l'ultimo turno di lavoro

È suonata l’ultima sirena alla Falco

di Redazione | 4 min

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Codigoro. La sirena che durante i tempi migliori scandiva i turni della Falco viene fatta suonare dieci minuti prima delle cinque. Dai cancelli della fabbrica, dove sotto un cielo plumbeo e un vento ingeneroso si sono radunati tutti i lavoratori in esubero da ieri e anche qualcuno di più, il suono è ovattato e non è più forte di un sottofondo acuto e bitonale.

Del resto, quella sirena non suona da dicembre 2013, data alla quale bisogna risalire per fissare gli ultimi giorni di lavoro di questa fabbrica giallo e verde che si affaccia sulla Romea nel bel mezzo della depressa bassa ferrarese, dove i tassi di disoccupazione quasi raddoppiano rispetto a quelli cittadini. “Chiunque dovesse comprare lo stabilimento dovrebbe mettere in conto anche qualche milione di euro per la manutenzione degli impianti”, è la considerazione pratica di un dipendente.

Alla Falco erano in 140. Ad entrare giovani lavoratori e ad uscire pannelli di truciolato, quelli che compongono i mobili. Giovani perché nel 2003 una serie di pensionamenti e prepensionamenti aprì loro la strada verso un lavoro vero, a tempo indeterminato. “Per qualcuno qui è stato il primo lavoro, negli ultimi anni a dover andare in pensione erano solo in due”, dicono alcuni ex occupati col lutto al braccio. Molti di loro davanti ai cancelli tengono tra le mani una busta. “Dentro c’è la busta paga di dicembre e la lettera di licenziamento per chi non l’aveva ancora ritirata”, spiegano.

La Falco, che produce pannelli di legno dalla metà degli anni ’60, era parte del gruppo Trombini, due società – dopo la divisione – cui facevano riferimento quattro stabilimenti: due a Torino, uno a Ravenna e uno a Pomposa. 420 le buste paghe erogate ogni mese fino a marzo 2013, poi l’impossibilità di far fronte ai debiti contratti e la richiesta di concordato preventivo. Per i lavoratori – compresi quelli della Falco – comincia la cassa integrazione straordinaria di un anno, poi la richiesta di deroga per ulteriori sei mesi e alla fine la mobilità.

Nel frattempo, in quasi due anni, l’organico continua a ridursi mentre le lettere di licenziamento continuano ad essere inviate: dai 140 del 2010 a 117 persone, poi i lavoratori con oltre quarant’anni si licenziano per godere di una mobilità più lunga evitando gli effetti della legge Fornero. Rimangono 57 persone che da oggi hanno ufficialmente perso il lavoro e ai quali ora spettera il 72% lordo dello stipendio per un anno. “Sembrava che questo giorno non sarebbe mai arrivato”, bisbiglia una lavoratrice con un pensiero che stride l’ottimismo del sindaco Rita Cinti Luciani, accorsa anche lei allo stabilimento: “Sarà che ho una visione ottimistica ma non credo che possa finire così”.

“Questo è lo stabilimento più nuovo del gruppo, l’hanno rinnovato tutto nel 2007, ci sono i macchinari più nuovi in Italia, alcuni sono solo qui nel nostro Paese”, racconta Sandro Guizzardi della Fillea-Cgil. E proprio per questo gli ex dipendenti non ci stanno e danno la colpa alla gestione poco accorta del gruppo ad opera del suo amministratore delegato: “Trombini non è mai stato lungimirante. Si è seduto su quello che aveva fatto suo padre, poi è arrivata la crisi e la goccia ha fatto traboccare il vaso”. Anche nel volantino che viene consegnato a lavoratori e giornalisti vengono raccontate malinconicamente le promesse del passato: “Si parlava di grandi investimenti e prospettive per il futuro di un polo industriale che pensava sempre più a Pomposa come ombelico del gruppo”, si legge.

Polo industriale che invece, insieme agli altri tre, è in concordato liquidatorio, per il quale si tenta di evitare lo “spezzatino” dei beni in vendita mentre due manifestazioni d’interesse – da una società cinese ed una libanese con sede a Beirut – continuano ad esistere ma sembrano arenate. “E poi la libanese in realtà è una società di trading”, dice Guizzardi.

In mezzo ci sono i dipendenti. “Questo è stato il mio primo lavoro fisso, a parte qualche lavoretto stagionale. Me la ricordo la prima sirena”. A raccontarsi è Mauro Cavallari, 33 anni, da quasi 12 alla Falco. “Io lavoravo nel reparto nobilitazione, applicavamo i fogli di carta decorativi prima di mandare i pannelli ai mobilifici”, spiega. Il prodotto finito del suo lavoro è nelle case di tutti: se aprite un qualsiasi mobile ed osservato di lato uno dei pannelli che lo compongono i fogli di carta, quelli vengono osservati da fuori, sono le due strisce che sovrastano sopra e sotto il truciolato. Il reparto nobilitazione è quello lì. Lui è anche uno dei fortunati, che il lavoro l’ha trovato alla Conserve Italia: lo stabilimento di fianco alla Falco. “Sono entrato grazie a un amico”, confessa.

“Di cose straordinarie ce ne sarebbero tante da dire ma me le tengo per me”, racconta un altro lavoratore. Non vuole dire a cosa si riferisce, ma mette nella mischia anche il furto, dalla chiusura dello stabilimento, di rame per oltre mezzo milione di euro di valore come scritto nella nota del commissario liquidatore.

“I tre quarti di quelli che sono stati licenziati sono a casa, e se trovano un lavoro sono contratti a tre mesi al massimo. Sono dei precari”, continua. Una storia, una delle tante storie, che, nello stillicidio occupazionale della crisi, continua ad essere raccontata.

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