Nove imputati, 20 società cooperative, due consorzi e oltre otto milioni di euro in beni mobili e immobili già sequestrati dalla guardia di finanza. Sono questi i numeri del processo che dovrà far luce sulla presunta associazione a delinquere finalizzata alla truffa messa in atto da una rete di “false cooperative”, attive nei settori del facchinaggio e delle pulizie, create secondo la procura per aggirare i controlli sui versamenti iva.
Un processo nato da una lunga inchiesta che ha visto le fiamme gialle arrivare fino a Trapani, dove hanno sede le coop al centro del processo. Società però di semplice facciata, secondo le accuse mosse dalla procura, e tutte aderenti a due consorzi del ferrarese, che avrebbero utilizzato le associate come mere ‘cartiere’ (ovvero finalizzate a produrre false fatture) al servizio dei due consorzi della provincia estense, guidati da un ferrarese e da tre cittadini stranieri. Dopo il rinvio a giudizio del 19 giugno scorso, ieri mattina si è quindi aperta la prima udienza del processo, durante la quale si sono presentati anche i legali dell’Inps per costituire l’ente pubblico parte civile contro gli imputati. La truffa infatti – se sarà dimostrata – vede come principale danneggiata proprio la cassa previdenziale, defraudata di 8 milioni di euro che gli imputati sarebbero riusciti a non versare grazie alle quote iva scaricate tramite le cooperative di facciata.
All’apertura del processo si è già assistito a un piccolo ‘alleggerimento’ alle accuse degli indagati. Le difese hanno infatti fatto valere a sentenza della Corte Costituzionale n.80 dell’8 aprile scorso, che di fatto depenalizza i mancati versamenti iva per quote inferiori a 103mila euro, riducendoli a semplici illeciti amministrativi. Vengono quindi a cadere due degli 83 capi di imputazione (buona parte dei quali si riferiscono a singole fatturazioni) per le nove persone alla sbarra, ma la mole di accuse resta comunque imponente. Il meccanismo della presunta frode avrebbe consentito infatti agli imputati di sottrarre all’erario milioni di euro attraverso i consorzi, che fatturavano direttamente alla società committenti i servizi e neutralizzavano l’iva a credito grazie alla fatturazione passiva delle cooperative associate. Entravano quindi in gioco le cooperative, che non versavano alcun importo o contributo a fronte della fatturazione attiva nei confronti dei consorzi.
I proventi di questa attività illegale – secondo la procura strutturata attraverso una vera e propria associazione a delinquere – venivano investiti nel mercato immobiliare. Investimenti ricostruiti minuziosamente dalla guardia di finanza di Ferrara, che nel settembre del 2013 operò sequestri preventivi sui beni acquistati dai consorzi per un valore di 8 milioni di euro: il totale del credito che lo Stato vanterebbe nei confronti dei presunti truffatori.