Argenta. Più di una tonnellata di pesce d’acqua dolce, frutto di un solo giorno di pesca, destinato presumibilmente al mercato nero e all’esportazione in Grecia e Romania per la lavorazione finale e la commercializzazione, è stata sequestrata durante una maxi operazione congiunta condotta in stretta sinergia tra polizia provinciale, carabinieri, Capitaneria di porto, polizia municipale di Argenta e unità Veterinaria del dipartimento di sanità pubblica.
Il pesce veniva trasportato e conservato in pessime condizioni igienico sanitarie comportando potenziali gravi rischi alla salute dei consumatori. L’operazione, denominata “Artemide” come la dea della pesca e della navigazione, è stata condotta e portata a termine sotto la direzione del sostituto procuratore Ciro Alberto Savino e ha portato alla denuncia di due pescatori di frodo di nazionalità romena, padre e figlio rispettivamente di 46 e 22 anni. Ai due sono stati contestati sei diversi tipi di reato di natura sanitaria, edilizia, ambientale e paesaggistica e sono state comminate 4 sanzioni amministrative per un totale di 4.500 euro per non aver mantenuto in adeguate condizioni igieniche gli ambienti e le attrezzature utilizzati per le attività connesse alla produzione primaria di alimenti, per non averà notificato l’attività svolta alle autorità competenti e per aver prodotto alimenti privi di documentazione di tracciabilità e provenienza.
Il pesce sequestrato (siluri, carpe, tinche, carassi, temoli e abramidi) è stato pescato a Valle Lepri e trasportato in un misto di sangue, reti e fango sul fondo di un furgone privo della cella frigorifera. In mezzo ai pesci è stata rinvenuta anche una batteria di automobile probabilmente usata per la pratica illegale dello stordimento elettrico degli animali che poi venivano portati in un immobile – sede dell’azienda – sito nella frazione di Anita e tenuto in pessime condizioni igieniche dove venivano tenuti all’interno di cassette di plastica e lavorati in vasche e tavoli sporchi. Lo scarto della lavorazione veniva inoltre fatto confluire direttamente in un canale a cielo aperto con elevato rischio di inquinamento delle acque del territorio. Nell’immobile sono state riscontrate anche l’assenza dei necessari permessi di costruzione, autorizzazioni per lavori strutturali in zona sismica e autorizzazioni paesaggistiche.
“È solo la punta dell’iceberg – commenta il comandante della polizia provinciale Claudio Castagnoli -, non abbiamo la presunzione di aver risolto il problema della pesca di frodo ma abbiamo dato un segnale forte”. I due pescatori – di cui uno in possesso di regolare licenza di pesca – data la mole “industriale” del pesce ritrovato (distrutto a spese degli indagati), secondo gli investigatori si sarebbero avvalsi nel tempo anche di una rete di supporto composta da numerosi soggetti.
L’importanza dell’operazione è data anche da un fattore finora poco considerato ma rilevato dal dipartimento di biologia dell’Università di Ferrara, ovvero che tra il 2012 e il 2013 il territorio ha perso circa un terzo della popolazione ittica, perdita a cui probabilmente contribuisce la pesca illegale anche se non è al momento possibile quantificarne la portata. “Artemide è stata il frutto della collaborazione e dello scambio di informazioni tra tutte le forze coinvolte – sottolinea il capitano dei carabinieri Cosimo Giovanni Petese -, in cui sono state fondamentali anche le segnalazioni dei pescatori del luogo che devono rendersi conto di quanto sia importante la loro collaborazione”. Proprio alla collaborazione con i cittadini si richiama anche Castagnoli che invita i pescatori a segnalare le attività illecite fornendo non solo indicazioni sulla presenza di reti irregolari ma anche fornendo descrizioni dettagliate degli individui, dei luoghi e dei veicoli utilizzati.
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