Eventi e cultura
5 Giugno 2014
Presentato alla Feltrinelli il nuovo romanzo del collettivo bolognese

‘L’armata dei sonnambuli’, sperimentazione dei Wu Ming

di Redazione | 3 min

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buidi Silvia Franzoni

Appoggiata agli scaffali della libreria Feltrinelli, ieri pomeriggio, spiccava una bandiera bianca che gridava “No Tav”. A sistemarla, Girolamo De Michele, relatore con Mauro Presini alla presentazione di quel “oggetto letterario non identificato”, ultima opera del collettivo Wu Ming, che è il romanzo ‘L’armata dei sonnambuli’: non una incongruenza, ma la “precisa scelta di sottolineare la forte presa di posizione contro una decisione inutile”, condivisa dai relatori, dagli autori e da molti altri intellettuali, tra cui si ritrova il nome di Erri de Luca, recentemente inquisito perché “colpevole di aver esposto la propria posizione”.

Il riferirsi agli accadimenti del contemporaneo, dell’oggi, non si risolve nei limiti spaziali della bandiera, ma ricorre nelle parole che Roberto Bui (rappresentante del collettivo bolognese) e i relatori scelgono per discorrere di un romanzo “che sì, rifiuta i collegamenti biunivoci, le corrispondenze sterili” ma che indubbiamente ritorna più volte al presente, “perché noi siamo spugne, assorbiamo tutto ciò che ci accade intorno”, continua Bui. E dunque ‘L’armata dei sonnambuli’ ha indubbiamente una “formidabile formazione storica”, la rivoluzione francese echeggia in ogni sua pagina, ma “le voci del popolo, i sobborghi, i molteplici livelli di lettura – così presenta De Michele – che mai sacrificano la scorrevolezza del testo” rimandano il romanzo a ‘Novantatrè’ di Victor Hugo solo per la cornice contestuale. L’elaborazione dell’opera da parte dell’ormai ventennale gruppo Wu Ming non si ancora ad una descrizione degl’anni tra il Terrore ed il Termidore, ma risponde all’esigenza di una “religione della scrittura”.

“Siamo molto legati alla sperimentazione linguistica – spiega Bui – e in tutto il romanzo vive una lingua allegorica, inventata per la necessità di rendere in italiano l’idioma del proletariato radicale e rivoluzionario del settecento francese”: i sanculotti, nelle pagine di Wu Ming, parlano una lingua ibridata, genericamente gallo-italica, piena di rimandi sintattico-lessicali alle parlate bolognesi e ferraresi, legittimate dal sostrato che lega i vernacoli locali al francese, quasi come “avessimo sciacquato i panni nel Reno e nel Po di Volano”. E quando il racconto si sposta nelle foreste dell’Alvernia, un mondo altro, la lingua del popolo mantiene il divario con la città, parlando “un alverniate addomesticato, che risulta un piemontese astratto”; ancora, la figura di Franz Anton Mesmer, costruita mai sul corpo ma solo sulla voce, necessitava di essere resa come “tedesco sgraziato”, e dunque il Super Io del medico rivoluzionario Orphée d’Amblanc si manifesta commettendo tutti gli errori “di un interlingue a base germanica, come fosse una parodia seria”.

bui 2Le quasi 800 pagine dei Wu Ming risuonano di una musicalità impressionante: “il ritmo è così incalzante- interviene Presini – che si può quasi riconoscere il rap, o il rock progressivo degli anni ‘70”, ed è chiara come la scrittura sia permeata dal “laboratorio sperimentale di musica” degli stessi autori, impegnati nel progetto, estraneo ad un semplicistico divertissement degli autori, Wu Ming Contingent. E così, mentre “per gli edulcorati, Cura Robespierre” resta il testo di una canzone del nuovissimo album Bioscop, le parole de ‘L’armata dei sonnambuli’ suonano di ritmi e assonanze, respiri e rime, ed una lettura attenta riconosce persino settenari ed endecasillabi “poi sporcati, come parti liriche subliminali, perché amiamo i metri di poesia nella prosa”. L’allegoria è dunque aperta: il sangue delle ghigliottine bagna i ciottoli di una Parigi in subbuglio e colora ‘lo spirito di Marat’, il bastone con cui l’attore Scaramouche, uno dei protagonisti, si improvvisa “macchina ammazza-cattivi” rendendo l’intera città teatro della sua commedia, ma si apre al contingente, “ad una rivoluzione – continua Wu Ming 1 – che è sulla bocca di tutti, segno dei tempi: l’incepparsi della costruzione dell’Europa oggi riflette un regime verticistico sentito come ancien régime, un potere distantissimo che finisce per riecheggiare in bocche populiste e neofasciste”. La nube di transmedialità del romanzo incorpora il presente, si articola e si snoda oltre il piatto moralismo, perché “una rivoluzione non può essere decaffeinata, pacifica, una rivoluzione è una rivoluzione”.

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