di Federica Pezzoli
“Torno con piacere a Ferrara, anche se ho appena fatto un’intervista in cui ho detto peste e corna della città e della sua amministrazione, ma non per ragioni politiche”. Vittorio Sgarbi si presenta così a Palazzo Roverella per la prima delle due presentazioni ferraresi (la seconda oggi a Ibs) del volume Il Tesoro d’Italia. La lunga avventura dell’arte italiana, edito da Bompiani. Ma oltre alle frecciate caustiche alle quali ormai il critico d’arte ha abituato, l’autore ha voluto concedere una chance al luiogo natale: “Ferrara è ancora in condizioni di fermare il declino”, ha strizzato l’occhio ottimista citando Giannino “mancato premier”.
Primo capitolo di un progetto impegnativo di storia dell’arte in più volumi, il libro . Presentato per iniziativa della sezione di Ferrara della Fidapa (Federazione Italiana Donne Arte Professioni Affari) – rappresenta un primo capitolo di un progetto impegnativo di storia dell’arte in più volumi, una mappa dell’inestimabile patrimonio artistico presente sul nostro territorio nazionale. Una ricchezza fatta non solo delle attrazioni turistiche più famose, ma soprattutto di capolavori inestimabili diffusi in modo capillare su tutto il territorio: si calcola che in ogni due chilometri quadrati di suolo vi sia una parte di questo straordinario tesoro, di cui però la maggior parte degli italiani sa poco o nulla e quindi finisce per sciuparlo.
Dalla mappatura di Sgarbi emergono circa 40 artisti, dall’undicesimo secolo al Quattrocento: non solo Giotto, Simone Martini, Cimabue, Filippo Brunelleschi e Paolo Uccello, ma anche quello che un altro grande critico come Roberto Longhi definiva ‘il genio degli anonimi’.
Dopo l’intervento introduttivo del presidente del circolo dei negozianti, Giovanni Piepoli, che ha ringraziato tutti i presenti, è toccato alla presidente della sezione ferrarese della Fidapa, la dottoressa Maria Grazia Suttina, presentare “l’ultima fatica” di Vittorio Sgarbi: “un libro molto particolare” che ci rende consapevoli di come “il bello non è solo un’intuizione, il bello va capito” e di come “vedere è una cosa che va appresa”.
E tornando ai temi della sua città, proprio Ferrara è stata la chiave attraverso la quale Sgarbi ha spiegato la genesi e i carattere del suo nuovo libro, che la include nella sua interezza per la “sua natura di prima città moderna” grazie a Biagio Rossetti. “Il tesoro d’Italia non potrebbe essere tale senza Ferrara nella sua integrità”, “prima città del Rinascimento insieme a Firenze”, “città metafisica” con Cosmè Tura e Francesco del Cossa prima e De Chirico poi. E poi ancora altre suggestioni: Ferrara come “una città che sale”, Palazzo Diamanti come “antecedente del Beaubourg” negli anni ’70, quando per l’arte contemporanea era “più importante venire qui che andare a Roma o a Torino”, fino al passaggio più importante e nello stesso tempo “ultimo momento vitale”: il recupero e la “consacrazione delle sue mura”.
L’altro motivo per cui IlTesoro. La lunga avventura dell’arte italiana è legato a filo doppio con questa città è quella Officina Ferrarese del 1934 di Longhi, insieme a Storia e geografia della letteratura italiana di Dionisotti, artefici della storia dell’arte e della letteratura italiana “per realtà geografiche”. Scrivere oggi su questi temi significa “per forza identificare un itinerario geografico” in cui si descrive “una realtà decentrata” e si esprime “un principio centrifugo”.
Per questo in realtà in Italia non esistono autori o artisti minori, come il critico d’arte ferrarese ha poi dimostrato descrivendo alcune delle opere inserite nel volume, ma solo “personalità che in quel territorio declinano il linguaggio pittorico dell’epoca secondo le caratteristiche di quel luogo”.
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