Cronaca
27 Ottobre 2013
Il caso venne segnalato solo dal precedente vescovo Rabitti, i suoi predecessori tacquero

Negri sul caso Erik: “Male radicale”

di Marco Zavagli | 3 min

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admin-ajax.phpIl vescovo Luigi Negri torna sulla vicenda che ha scosso la città di Ferrara e la sua comunità cattolica, quello dello stupro dell’allora quattordicenne madre di Erik Zattoni, il giovane che ha confessato quanto avvenne davanti alle telecamere delle “iene” e che oggi chiede la riduzione allo stato laicale di quel sacerdote.

E lo fa con parole nuove rispetto a quanto pronunciato fino ad oggi. Parole che sembrano non voler minimizzare quanto successo e che chiedono anzi una seria riflessione. Nel messaggio che l’arcivescovo ha chiesto di leggere alle messe di oggi, domenica 27 ottobre, e di divulgare in ogni ambito della diocesi di Ferrara-Comacchio (che pubblichiamo integralmente nello spazio delle lettere), Negri parla di “male radicale”.

La terribile vicenda che è stata al centro di queste giornate – esordisce lo scritto -, di cui portiamo il peso senza esserne causa, è una prova a cui dobbiamo rispondere per la verità della nostra vita cristiana e della nostra missione”. Il vescovo riassume le tappe del caso Zattoni, un avvenimento “infame” accaduto più di trent’anni fa e che “non può essere in nessun modo sottaciuto o giustificato. Chi lo ha compiuto si è macchiato di un peccato innominabile”. Negri ricorda di aver “già espresso alle vittime, in un primo incontro personale, la mia più profonda vicinanza e solidarietà cristiana, e con loro abbiamo posto le basi per un cammino futuro insieme”. Il riferimento è all’incontro con Erik Zattoni, avvenuto lunedì scorso, nel corso del quale il monsignore ha promesso di portare il suo caso all’attenzione di Papa Francesco e di facilitare un incontro in Vaticano.

Negri parla anche di don Pietro Tosi e della sua “volontà di negare pervicacemente qualsiasi responsabilità”, cosa che ha reso “la Diocesi di allora ingiustificatamente incerta e contraddittoria nelle sue reazioni, impedendo di fatto qualsiasi provvedimento che forse anche solo il buon senso avrebbe suggerito”. E svela che solo in tempi recenti, durante l’episcopato di mons. Paolo Rabitti, l’Arcidiocesi ha segnalato la vicenda alla Santa Sede (dopo l’esame del dna, “prova evidente del gravissimo atto”) da cui ha ricevuto “le indicazioni alle quali mi sono tempestivamente adeguato, e che sono in atto”.

Alla luce di ciò, Negri si chiede “come ci interpella ciò che è successo? Siamo di fronte al mistero del male radicale, sia nelle sue origini che nelle sue conseguenze, a tutti i livelli”. Per questo “credo che venga chiesto innanzitutto all’intera chiesa diocesana di maturare la coscienza della propria identità ecclesiale e una nuova corresponsabilità missionaria”. L’analisi sulle colpe o sulle difficoltà interne ed esterne alla Chiesa, “necessaria e doverosa”, dovrà essere accompagnata da “un’autentica e fraterna vigilanza gli uni sugli altri perché le nostre comunità siano comunità sane, sia moralmente che religiosamente, consentendo così al vescovo di esercitare pienamente la sua funzione di guida. Trent’anni fa si è sbagliato ma l’errore di allora si potrebbe ripetere ancora in futuro, se venisse trascurato questo mio invito”.

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