E no! Le dichiarazioni del sindaco di Firenze Matteo Renzi sul destino e la funzione dell’Università è un atto gravissimo che, sparato frettolosamente a “Otto e mezzo” produce danni che si possono spiegare solo con una confusione d’idee esposte più per apparire che per essere prese in considerazione. Non a caso ne avevo rilevato subito la pericolosità che oggi viene compartecipata dal bell’articolo di Nadia Urbinati su “La Repubblica”, Le Università non sono aziende, p.21. Di che si tratta? Tutti coloro che hanno presente lo stato comatoso in cui versa l’università dopo le tragiche esperienze e risoluzioni dei ministri che si sono succeduti da Luigi Berlinguer alla Moratti fino al più deleterio di tutti che va sotto il nome di “riforma” Gelmini ora salta fuori lo spirito meno democratico del futuro (spero di no ma purtroppo lo prevedo) segretario PD o capo del governo….. ).
Tutti coloro che operano nel campo della cultura -e in quello più importante che è l’Università la quale per fortuna degli avi rimane fondamentalmente statale- si riempiono la bocca con la parola “eccellenza/e” che è una di quelle male parole che la politica usa a sproposito assieme alle altre insopportabili che piacciono tanto agli “itagliani” ormai servi dell’apparire e dello slogan mediatico. Penso a “fibrillazione” “staccare la spina” “ lo dovranno spiegare agli Itagliani” per ricordare le più insopportabili. Cosa propone sveltamente e con parlantina tutta irta di gorge e di fiorentinismi spiccioli il Nostro? Che, ovvia!!!, si creino solo 5 eccellenze! Cioè 5 università eccellenti. E il resto? Cito “Ma come sarebbe bello se riuscissimo a fare 5 hub della ricerca, cosa vuol dire? Cinque realtà che anziché avere tutte le università in mano ai baroni, tutte le università spezzettatine ( sic!) dove c’è quello, il professore, poi ha la sede distaccata di trenta chilometri dove magari ci va l’amico a insegnare, cinque grandi centri universitari su cui investiamo…” Oh bimbo! Ma che tu dici??? Tanto per copiare il gergo renziano. Che l’Università non sia il massimo della chiarezza etica lo dimostra a iosa l’articolo di Corrado Zunino Il Barone apparso sempre sullo stesso numero de “La Repubblica”, ripetendo giudizi assai conosciuti . Ma secondo le conclusioni renziane sembrerebbe giusto, sbrigativamente e senza cognizione di causa, che sia necessario far piazza pulita delle università “spezzettatine”?
Questa idea mi sembra un atto gravissimo di superbia sciocca e di incontinenza verbale. In 50 anni di lavoro all’interno dell’Università ho visto tanti comportamenti e scelte: dalla baronia più sfacciata alla siderale distanza che separa il “grande” dai colleghi e dagli studenti, ma alla fine ciò che è prevalso è sempre stato un insegnamento generoso e consapevole. Che le condizioni delle università italiane siano gravemente in svantaggio nella classifica mondiale è un dato di fatto. Bisogna tenere presenti i parametri di valutazione che non contemplano unicamente la qualità scientifica ma riguardano anche altri elementi: dalla difficoltà di reperire le aule, gli alloggi, al frazionamento degli ex dipartimenti sparsi per le città storiche sprovviste di campus. Allora caro Renzi che si fa? In Toscana tra Firenze, Siena, Arezzo e Pisa che hanno prestigiosi insegnamenti riduciamo tutto all’eccellenza della Normale di Pisa? O in Emilia tra Bologna, Ferrara, Modena cancelliamo le ultime due? (E a Ferrara ci si sta avviando, almeno per gli studi umanistici, a far fuori la ricerca. Ferrara che poteva assieme all’Istituto di Studi Rinascimentali divenire l’eccellenza negli studi rinascimentali…). L’Università non è un’azienda. La sua stessa natura geografica impone il potenziamento dell’università statale. Se si migliorassero le altre condizioni previste per contare nel panorama mondiale, sono sicuro che le nostre posizioni migliorerebbero di molto.
E’ per questo che proprio in nome della “onestà” di tanti che lavorano per stipendi ridicoli nell’accademia che mi sento offeso dalle parole avventate del sindaco fiorentino e se potessi chiamerei a raccolta la parte nobile, che è tanta, di coloro, anche baroni, che hanno il senso etico del trasferimento del sapere lavorando in luoghi disameni sprovvisti dei mezzi più necessari ma che credono che far cultura (e lo ricordino tutti dagli assessori alla cultura ai sindaci ai presidenti di provincia e regione a coloro che siedono in parlamento e in senato) come necessità dello sviluppo del paese. Ma irrimediabilmente, il pensiero degli “itagliani” si lascia affascinare da chi spara sentenze per fini di carriera.