Cronaca
30 Maggio 2013

Evasione e paradisi fiscali, sono 38 gli indagati

di Marco Zavagli | 4 min

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Ciancimino con l'avvocato Linguerri dopo un interrogatorio in procura all'inizio delle indagini

Ciancimino con l’avvocato Linguerri dopo un interrogatorio in procura all’inizio delle indagini

Tredici arresti, 221 pagine di ordinanza per una cinquantina di capi di imputazione e 38 indagati per un giro d’affari di oltre 100 milioni di euro, con 22 società utilizzate dall’associazione criminale per frodare il fisco di oltre 30 milioni di Iva. Sono i numeri dell’indagine della guardia di finanza di Ferrara che ha visto ieri eseguire una serie di arresti in varie città (vai all’articolo).

Il nome di spicco è quello di Massimo Ciancimino, 50 anni, teste chiave del processo sulla trattativa Stato-mafia appena incardinato presso il tribunale di Palermo. Attorno a lui si sono diramate le indagini delle fiamme gialle, che hanno portato sotto l’occhio della Dda di Bologna anche dei ferraresi. L’inchiesta parte da lontano, dal luglio 2007, epoca cui risalgono le prime ipotesi di reati finanziari contestati. E di reati la procura felsinea (che trasmetterà gli atti per competenza a quella ferrarese, dal momento che l’ipotesi più infamante a carico dei principali indagati, quella di associazione con finalità mafiose, è caduta dopo il vaglio del gip) ne ha rilevati tanti. A cominciare dall’associazione a delinquere, costituita per varie finalità illecite tra cui l’evasione dell’Iva, realizzata con l’interposizione di società inattive o non più operative che, attraverso la redazione di atti societari falsi (modifiche statutarie, cessioni di quote, nomina alla carica di amministratore di prestanomi), divenivano strumento dell’attività criminosa. Per finire con evasione e frode fiscale, bancarotta fraudolenta, contrabbando, mendacio bancario, sostituzione di persona, falso in scritture private, falso commesso da incaricato di pubblico servizio.

Il giochetto messo in piedi dagli indagati faceva perno su società di comodo, utilizzate per creare le condizioni utili per fornire una falsa documentazione in base alla quale si dichiaravano esenti Iva le operazioni commerciali effettuate da queste società nel settore dell’acciaio. In sostanza si dichiaravano queste società “esportatori abituali”, soggetti così a un regime agevolato (non pagavano l’Iva sul materiale ferroso acquistato). Le società venivano utilizzate per breve tempo, non più di un anno, per eludere eventuali controlli, ed erano diffuse in diverse regioni (Emilia-Romagna, veneto, Lombardia, Campania, Calabria, Lazio e San Marino). La compagine si adoperava anche per procurarsi credito bancario mediante l’utilizzo di documenti falsi (bilanci ed altri atti societari, dichiarazioni fiscali mendaci), per poi finanziare l’illecita commercializzazione soprattutto di acciaio in coils.

Il ‘mago’ di queste operazioni, secondo gli inquirenti, era Gianluca Apolloni, “profondo conoscitore dei sistemi di traghettamento di capitali e titoli societari verso panama”. E infatti gli indagati avrebbero trasferito nello Stato del centroamerica, noto per essere ben poco collaborativo a livello di reati bancari, quote e sedi sociali di alcune società implicate nel traffico. Il continuo approvvigionamento di queste “società dormienti” era compito di Armido Manzini. I compiti di adeguare le compagini e gli oggetti sociali agli scopi illeciti era affidato a Italo Magnani e a Elena Pozzati.

Le direttive su come esportare i capitali all’estero erano impartite da Apolloni a Patrizia Gianferrari. E la base di tutto ciò, prima di spostarsi a San Marino, era proprio a Ferrara. Qui, infatti, prima di finire anch’essa a Panama, c’era la “Errelle srl”, con sede legale a Reggio Emilia e una unità operativa in centro città, dove la finanza ancora nel 2009 eseguì le prime perquisizioni.

E di ferrarese in questa inchiesta non c’è solo una indicazione geografica. Nel registro degli indagati ci sono cinque ferraresi, due dei quali raggiunti dalle misure cautelari emanate dal gip Bruno Perla. Si tratta di Elena Pozzati, 36enne finita ai domiciliari, Massimiliano Paletta, 39 anni (finito in carcere), e Tonino Paletta, 43 (obbligo di firma), varesini di origine ma residenti a Ferrara.

Questi, assieme a Mario Carlomagno e a Mario Paletta, erano legati da rapporti di amicizia e di parentela e formavano un nucleo utile a Ciancimino per procacciare i finanziamenti e predisporre la documentazione falsa per accedere ai mutui.

“Tutto ancora da dimostrare” secondo l’avvocato Gianluca Filippone, che difende Pozzati e i Paletta, e che si dice meravigliato delle misure restrittive adottate “in seguito a indagini che riguardano eventuali reati compiuti tra il 2007 e il 2009; mi sembra assurdo che oggi a distanza di tre anni, e senza ulteriori elementi che facciano presumere la volontà di compiere altri reati, si arrivi a queste misure”.

Ciancimino invece è difeso dagli avvocati Roberto D’Agostino del foro di Palermo e Marco Linguerri del foro di Ferrara. Contattato telefonicamente, Linguerri non ha rilasciato dichiarazioni, in attesa di sciogliere la riserva sull’accettazione o meno dell’incarico legale. D’Agostino invece ha dichiarato alle agenzie come “l’indagine nell’ambito della quale Ciancimino è stato arrestato è del 2009 e il mio cliente ha collaborato con i magistrati all’epoca. Ciancimino non è il titolare delle società finite sotto inchiesta, ma svolgeva semplicemente attività di intermediazione nella vendita dell’acciaio e ha aiutato i magistrati nelle indagini sull’evasione”. Magistrati che invece vedono nel figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino, un amministratore di fatto delle varie società.

Ora sarà la procura di Ferrara a occuparsi della vicenda, a partire dalla conferma o meno delle misure cautelari.

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