Cronaca
28 Febbraio 2013
Nuovi elementi nell'indagine per la morte del calciatore mettono in discussione la testimonianza principale

Le strane incongruenze nel “suicidio” di Denis Bergamini

di Ruggero Veronese | 3 min

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ImmagineMacchie di sangue sospette sul predellino laterale del camion e notevoli incongruenze nelle registrazioni della “scatola nera” dell’Iveco 180 che il 18 novembre 1989 investì e uccise il calciatore Denis Bergamini. Sono questi i  nuovi elementi di un caso a lungo liquidato come semplice suicidio ma che, come ha rivelato la puntata di ieri sera di “Chi l’ha visto?”, potrebbe finalmente portare a nuovi sviluppi.

“Denis venne assassinato”. A più di 23 anni dalla morte del figlio, non si è spostata di un millimetro la convinzione di Domizio e Donata Bergamini, i genitori del calciatore ferrarese (originario di Boccaleone, vicino ad Argenta) del Cosenza trovato morto il 18 novembre 1989 sulla statale Ionica, nei pressi di Roseto Capo Spulico. Tutto ora si basa sulle incongruenze rilevate nel cronotachigrafo, la “scatola nera” presente sulla maggior parte dei camion che registra costantemente la velocità del mezzo, permettendo di effettuare riscontri con le testimonianze in caso di incidenti, o di ricostruirne le dinamiche. Secondo il racconto del proprietario dell’Iveco 180 Raffaele Pisano, che confessò di avere investito accidentalmente Bergamini, il mezzo era partito da Rosarno e stava attraversando la statale, quando il calciatore uscì fuori dal nulla e si buttò sotto le ruote del camion. Ma Rosarno dista più di 230 chilometri dal luogo dell’incidente, mentre i dati rilevati dal cronotachigrafo mostrano che il camion quel giorno ne aveva percorsi circa 177 prima di frenare e fermarsi per il – presunto – impatto con il calciatore.

Le incongruenze e gli elementi sospetti attorno alla scatola nera del camion non si fermano qui. Dopo che Pisano allertò le forze dell’ordine affermando di aver involontariamente investito un uomo, il camion fu sequestrato solo per qualche ora, per poi essere riconsegnato al proprietario con facoltà d’uso. Mentre di tutti i dischi cartacei che registrano i dati del cronotachigrafo, l’unico a essere sequestrato fu quello di quel 18 novembre dell’’89, che, se analizzato con attenzione, mostra elementi che potrebbero indicare una falsificazione. Innanzitutto perché tra i dati inseriti non figura la targa del veicolo. Ma soprattutto perché nella trascrizione della data “18/11/89”, le cifre che indicano il giorno e il mese sembrano segnate con diverse grafie, come se quel disco fosse stato predisposto da tempo come prova giudiziaria lasciando un campo vuoto, in attesa che il fatto fosse compiuto. Nella fattispecie, la grafia che riporta il mese di novembre è segnata con due linee verticali (11), mentre in quella che indica il giorno esatto, 18, il numero 1 è composto anche dalla piccola linea obliqua in cima.

Un caso liquidato a lungo come semplice suicidio, ma di fronte al quale i genitori non si sono mai arresi: troppo sicuri della voglia di vivere del figlio, che attraversava anche un momento di particolare soddisfazione professionale. “C’erano tre club della massima serie interessati a lui quell’anno, tra cui la Fiorentina”, ha raccontato ieri sera negli studi di “Chi l’ha visto?” il padre del calciatore, al fianco della moglie e del loro legale Eugenio Gallerani, prima che partisse il servizio sui nuovi elementi dell’indagine che ha tenuto incollati allo schermo 3,6 milioni di spettatori: il picco più alto raggiunto dalla trasmissione nel corso della serata.

“Effettivamente stupisce che nessuno si sia mai accorto prima delle incongruenze nel chilometraggio”, è stato il commento in diretta dell’avvocato, che ha ricordato anche un altro elemento che sembrerebbe contrastare la ricostruzione ufficiale degli ultimi anni: le macchie di sangue sul predellino del camion. Ma se l’impatto è stato frontale, come mai il sangue era presente sulla fiancata del mezzo, come se il corpo senza vita di Denis fosse stato semplicemente scaricato sulla strada dallo sportello? Tutti elementi che ridanno vita a un’inchiesta a lungo abbandonata, e che rendono ancora più sospetto il trasferimento dei carabinieri del Gruppo Zeta avvenuto nel giugno 2011 (vai all’articolo), il nucleo investigativo che per primo aveva ipotizzato che dietro il “suicidio” del calciatore argentano ci fosse l’ombra di un’organizzazione pericolosa e disposta tutto: la n’drangheta.

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