Lo straniamento è un fenomeno che s’imparenta con la dislocazione in luoghi, gesti, conosciuti e celebri che l’ironia dell’artista eleva a “opere d’arte”. Gli esempi sono tanti e quasi sempre legati alle avanguardie. Dai celeberrimi Le pissoir (1917) o La Gioconda con i baffi ( 1919) di Duchamp alle lattine della minestra Campbell di AndyWarhol, alla merda d’artista di Pietro Manzoni inscatolata e presentata come opera d’arte ( e come dimenticare lo scalpore che fece la mostra di Manzoni tra l’altro prinipote del celebre Alessandro a Palazzo dei Diamanti della nostra città sotto la direzione di Franco Farina?) Erano gli anni ’70 del secolo scorso in cui Ferrara viveva la sua grande stagione d’avanguardia. Ai Diamanti Vedova o Manzoni, a teatro The bridge con Julian Beck, Judith Malina e il Living theater che vi prende stanza o Carmelo Bene che al teatro comunale orina sul pubblico della platea. Anni indimenticabili che la politica dei grandi eventi ha cancellato con ingessate e celebri rappresentazioni o mostre dentro il cerchio della tradizione e al massimo con un filino di provocazione. Le uniche opere veramente dirompenti dopo l’avanguardia furono l’Orlando Furioso di Ronconi e Sanguineti del 1969 in Piazzetta Municipale e il sublime Viaggio a Reims di Rossini con l’accoppiata Abbado Ronconi. A tutte ho assistito vivendo questo momento speciale di una Ferrara che si adeguava a questa sua nuova “invenzione”. Uscire dalle mura per offrirsi al mondo anticipando scelte e personaggi che il tempo ha reso fondamentali nella storia del Novecento. E da questo impulso e vocazione che non offriva nemmeno Firenze in cui vivevo metà della settimana è nata l’idea dell’istituto di studi rinascimentali ora in via di trasformazione se non di chiusura. Ferrara ormai tutta perbenino non ha più bisogno di spinte d’avanguardia. Ci si accontenta di ricalcare il sicuro e ciò che rende in funzione turistica. Ultima spiaggia la danza dove si risente ancora l’eco delle grandi compagnie ultra-moderne che approdarono nel suo teatro. Va di moda il sicuro ciò che non provoca rischio e che rende in funzione d’approvazione e di consenso. L’incendio del Castello, i Baloons, i Buskers, l’Internazionale. Tutto quello che in qualche modo non disturba a differenza dell’avanguardia o di una cultura alta inevitabilmente aristocratica che produce scienza e sapienza e non spendibile economicamente. Ma se si può essere d’accordo ( naturalmente chi scrive non lo è) di affannarsi a trovare giustificazione “popolare” alle scelte culturali come il bellissimo Palio e di cercare di rinnovare come è stato scritto in una risposta al mio blog delle muffite carte da pochi consultate, tra rinnovare e eliminare passa una bella differenza: con e senza soldi. C’è modo e modo. Non certo quello di ridurre come è accaduto a Firenze la Biblioteca Nazionale di Firenze adatta a un party Disco (700 persone tra i tavoli e i libri che ballavano, lasciavano immondizie ecc). O come è ormai consuetudine quella di usare personaggi e luoghi culturali per promuovere che so la carta igienica su cui scrive Dante: quel rotolone che basta e avanza per l’intera Commedia buffonescamente datata 1305 cioè sedici anni prima che fosse compiuta. O la Primavera del Botticelli che sorbella un caffè o ancor più degradante per la cultura e le attese dello spettatore televisivo le mises erotiche e intimissime di una bella figliola che mima voluttà e piacere in mutande e reggicalze (non sapevo che questi ultimi fossero ritornati di moda). Dove? Ma naturalmente tra i gessi e le sculture di Canova a Possagno!
Che desolazione…