Attualità
24 Ottobre 2012

Prevenzione insufficiente per il terremoto (prossimo) venturo

di Michele Fabbri | 4 min

La sentenza di primo grado del processo a L’Aquila, che condanna pesantemente i componenti della Commissione grandi rischi, il vice capo dipartimento della Protezione civile, il direttore dell’Ufficio rischio sismico della Protezione civile e il direttore del Centro nazionale terremoti dell’Istituto nazionale di Geofisica e vulcanologia (Ingv), ha aperto un violento (e tardivo) scontro sulle responsabilità e sui compiti degli scienziati e dei “decisori” (politici, amministratori, Protezione civile) nelle situazioni di rischio ed emergenza.

Uno scontro che, invece di spingere a risolvere i problemi evidenziati dal terremoto aquilano, rischia ora paradossalmente di avere conseguenze paralizzanti in caso di crisi (l’ufficio di presidenza della Commissione grandi rischi si è dimesso, e gli scienziati minacciano una sorta di “sciopero della comunicazione istituzionale”).

Su un punto ci pare però che tutti i commentatori più rigorosi siano d’accordo. Questo: “L’unica efficace opera di mitigazione del rischio sismico- afferma l’lngv nel comunicato di commento alla sentenza – è quella legata alla prevenzione, all’informazione e all’educazione della popolazione in cui istituzioni scientifiche, Protezione civile e amministrazioni locali devono svolgere, in modo coordinato, ognuna il proprio ruolo.”

Se tutti sono d’accordo su questa proposizione, il passo successivo sarebbe quello di  metterla in pratica. Proviamo allora a calarla nel contesto locale. Non dimenticando che in una situazione analoga a quella aquilana ci siamo trovati anche nella nostra città. E che potrebbe ripetersi.

Informazione: quanto sono informati i cittadini ferraresi del fatto che “il terremoto di Ferrara non c’è stato” (non si è attivata la faglia che passa sotto la città, a differenza di quelle limitrofe)? Si è fatto uno sforzo di comunicazione ed educazione sufficiente per chiarire che lo sciame sismico in diminuzione (per frequenza e intensità) non riguarda la faglia su cui siamo seduti, ma quelle che già si sono “scaricate”? Lo ha riaffermato di recente Emanuela Guidoboni sismologa storica, direttore del Centro Eedis (Eventi estremi e disastri) nel corso della trasmissione di Telestense Obiettivo prevenzione del 19 ottobre (dal 22’ della trasmissione, scaricabile da Yuotube). Guidoboni ha anche chiarito che dopo il terremoto del 1570 ce ne sono stati altri di forte intensità (come aveva ricordato Marco Bondesan, geologo già in forza del nostro ateneo), e che dunque – se esiste – il “ciclo di ritorno” dei terremoti ferraresi è molto più corto di quello plurisecolare ipotizzato all’inizio.

Insomma, si sta facendo abbastanza per informare i cittadine che, rispetto alla probabilità di un evento sismico paragonabile a quello che ha devastato l’Alto ferrarese e Mirandola, nulla è cambiato (anzi, come dicono a mezza bocca gli esperti, forse il sistema è più “in movimento” di prima)? E che quando avverrà, se non si sarà massicciamente provveduto, sarà devastante come quello che mise in ginocchio il Ducato estense, come afferma il geologo della nostra università Riccardo Caputo (Obiettivo prevenzione del 21 settembre, 8’)? O c’è invece una generale impostazione della comunicazione che tende a rassicurare, a minimizzare il rischio, a sminuire la probabilità, a enfatizzare una ipotetica “specificità” civile e partecipativa degli emiliani?

Coordinamento: è l’altro cardine della prevenzione, come ha sottolineato con forza Massimo Coltorti, membro della commissione Grandi rischi e docente del nostro ateneo. Per il quale sarebbe già un gran risultato se si cominciasse a mettere a sistema le competenze di geologi, ricercatori universitari e ingegneri, che attualmente vanno ognuno per la propria strada. O, come ha affermato Marco Stefani, di Unife, se almeno si riunissero in un unico data base i risultati delle migliaia di indagini geologiche attualmente distribuiti in diversi studi professionali.

Cinque mesi sono passati, la prima emergenza è finita, L’Aquila riemerge alla cronaca ormai dalla storia: allora, come vanno le cose, qui e ora? Cosa si sta facendo per una efficace prevenzione? Per non trovarci impreparati davanti a un futuro allarme lanciato (od omesso) dagli esperti? “Mi sono chiesta – conclude Guidoboni – se esiste un modello emiliano o se stiamo rifacendo gli errori già fatti… se non cogliamo il patrimonio di energia che ha la popolazione emiliana… non vedo il progetto scandito nei tempi e nella sua (necessaria) dimensione..” E non è l’unica – fra gli “addetti ai lavori”- a rilevare una pericolosa insufficienza di interventi di prevenzione.

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