
L’avvocato Fabio Anselmo accompagna in tribunale i genitori di Federico, Patrizia Moretti e Lino Aldrovandi
Nemmeno un giorno di “pausa” e la polemica torna a condire il caso Aldrovandi. Questa volta a far prendere in mano, metaforicamente parlando, carta e penna a papà Lino e mamma Patrizia è il ministro dell’Interno. Interrogata dall’agenzia Asca sulla possibilità che i quattro agenti condannati in via definitiva per omicidio colposo vengano espulsi dalla Polizia di Stato, Annamaria Cancellieri ha premesso che “ho grandissimo rispetto per quello che decide l’autorità preposta perché guai a mancare di rispetto e fiducia nella magistratura”. La Cancellieri ha chiesto anche di non dare “giudizi sommari perché la polizia non lo merita”: oltre ai poliziotti di Aldrovandi “ce ne sono tantissimi che tutti i giorni rischiano la propria vita e si sacrificano per il Paese e lo fanno con grande dedizione”. Per poi aggiungere che “se ci sono stati, come sembrerebbe, degli abusi gravi, è giusto che vengano colpiti”.
Quel condizionale però, quel “sembrerebbe”, non va giù ai genitori di Federico che ricordano le parole e l’atteggiamento di un altro Ministro dell’Interno, Giuliano Amato. L’allora titolare del Viminale, era il 2 settembre del 2006 e l’inchiesta era ancora nella sua fase preliminare, “nei primi mesi successivi alla morte di Federico, ci aveva voluto incontrare ed aveva chiesto per noi che si facesse luce su quanto accaduto attraverso un regolare processo”.
Niente a che vedere insomma, secondo i genitori, con l’attuale successore che “usa il condizionale o la formula dubitativa per interpretare il caso Aldrovandi. Perché – si chiedono i genitori – usa il condizionale quando il suo ruolo istituzionale non lo permetterebbe? Perché mette le mani avanti dichiarando rispetto per la magistratura mettendone poi in dubbio l’operato? Quel condizionale signor ministro è fuori luogo, inopportuno e poco rispettoso delle istituzioni”.
E questo perché “non può il ministro dell’Interno mettere in discussione una sentenza passata in giudicato su una questione singola e specifica. Sono stati commessi abusi tanto gravi da provocare la morte di un ragazzo appena maggiorenne incensurato e di buona famiglia”. Un ragazzo, tra l’altro con “padre poliziotto e nonno carabiniere”.
Quel padre poliziotto e quel nonno carabiniere “che appartengono alle forze dell’ordine di cui lei giustamente parla, hanno pazientemente aspettato 7 anni di processo e tre sentenze per veder riconosciuta quella verità terribile che sempre hanno saputo. Auspicheremmo uguale rispetto da parte sua”. La lettera aperta termina con la firma fin troppo esplicativa: “Patrizia e Lino Aldrovandi, genitori di Federico, morto per colpa di 4 poliziotti tutt’ora in servizio”.
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