Economia e Lavoro
7 Ottobre 2011
I sindacati lanciano il Manifesto sul mercato del lavoro agricolo ferrarese

Dall’omicidio a Portomaggiore un codice etico per i braccianti

di Redazione | 4 min

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Nella foto, da sinistra: Mirko Cavallini, Fabrizio Tassinati e Davide Bergonzini

Sono passate tre settimane dall’omicidio del bracciante agricolo romeno Florian Badea, ma i sindacalisti garantiscono che già da tempo ragionavano sul tema. E così, per una volta uniti, i segretari dei sindacati dei lavoratori agroindustriali Fabrizio Tassinati (Flai-Cgil), Davide Bergonzini (Fai-Cisl) e Mirko Cavallini (Uila) hanno lanciato questa mattina un ‘Manifesto sul mercato del lavoro agricolo ferrarese’, un documento la cui realizzazione, spiegano, “è stata accelerata proprio dai recenti fatti di sangue”.

“Da noi l’agricoltura ricopre un ruolo importante a livello sia regionale sia nazionale – è la premessa di Bergonzini –, ma purtroppo produce un’offerta di lavoro non all’altezza, a causa della sua precarietà”. Non sarebbero in pratica utilizzati “quei meccanismi normativi che pure esistono – spiega Cavallini –, lasciando così spazio a faccendieri o veri e propri delinquenti che colmano un vuoto, ricorrendo ad esempio agli appalti e ai voucher in maniera irregolare”. Proprio per combattere il lavoro nero erano stati introdotti i voucher, buoni rilasciati dai datori di lavoro dei quali i braccianti possono pretendere il valore corrispondente.

Ovviamente, “chi si muove sul filo della legalità – prosegue il numero uno della Uila – contratta le tutele e i salari al ribasso, creando un vero e proprio problema sociale, per cui anche chi ora lavora con un contratto regolare rischia di vederselo rinnovato a condizioni peggiori di quelle stabilite dagli accordi provinciali”.

Questo comportamento non colpisce solo i lavoratori, “ma è anche un problema delle aziende, perché quelle che violano le norme si trovano poi sullo stesso mercato di quelle che le rispettano, per cui si rischia che anche le più virtuose cambino pratiche”.

Tra le cause del fenomeno, l’elevata componente, nell’agricoltura ferrarese, di lavoratori stranieri, che, anche se, come ricorda Tassinati, “non vanno messi contro gli italiani”, rappresentano ormai il 46,3% della nostra manodopera, a fronte di un dato regionale che si ferma al 18,7. “Se alcuni anni fa questo dato aveva una sua giustificazione – scrivono a sei mani i sindacalisti nel lancio del loro manifesto –, dettata dall’impossibilità di trovare manodopera da parte delle aziende, oggi riteniamo che la situazione sia cambiata, essendo aumentata la richiesta di lavoro da parte di residenti, ancorché nati all’estero”. Gli stranieri insomma non sarebbero piùintegrati ai lavoratori italiani – parola del sindacalista cigiellino –, ma sostituiti a loro”.

Tassinati chiama in causa in ogni caso anche il Governo (“prima ha dipinto quello agricolo come un non lavoro, poi ha creato il sistema dei voucher per risolvere il problema del nero, che però negli ultimi anni è aumentato”) e anche qualche azienda agricola ferrarese: “Le associazioni datoriali non possono far finta di niente”.

In ogni caso, proprio alle associazioni (Coldiretti, Confederazione italiana agricoltori e Confagricoltura nella nostra provincia), si rivolge il manifesto, che invoca anche la mediazione istituzionale: “Da soli non possiamo risolvere i problemi” affermano all’unisono Tassinati e Bergonzini. È la stessa presidente della Provincia Marcella Zappaterra ad essere chiamata in causa dunque, poiché detiene personalmente la delega all’Agricoltura, “un fatto positivo” secondo il segretario territoriale della Fai.

Da parte loro, le tre sigle scriveranno a brevissimo un codice etico, “che manderemo alle associazioni e alla Provincia, sperando che sia un segnale colto positivamente”, spiega Tassinati, ma non ci si fermerà a questa “vetrina”: si chiede infatti anche di “mirare le verifiche sul mercato del lavoro agricolo – spiega Bergonzini –, incrociando i dati delle dimensioni aziendali e del numero di giornate lavorative richieste. Se un’impresa di 50 ettari chiede 50 giornate lavorative ed un’altra delle stesse dimensioni ne domanda 1.500 – esemplifica il segretario Fai –, non si può parlare di concorrenza cinese”.

Nel far incontrare domanda e offerta di lavoro bisognerebbe poi “tornare all’antico – sempre per Bergonzini –, coinvolgendo anche i sindacati oltre che i centri per l’impiego, attraverso i quali ormai da tre-quattro anni non si passa più: gli strumenti esistono”.

Non solo controlli però, ma anche un sistema premiante per le aziende che rispettano le regole: “Siccome esistono standard per i prodotti biologici – è il paragone conclusivo di Cavallini –, perché non creare un apposito marchio con cui contraddistinguere quelli realizzati mantenendo alta la qualità del lavoro?”.

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