Eventi e cultura
3 Settembre 2011
A Pontelagoscuro concerto del cantautore e raduno nazionale dei suoi fan

Claudio Lolli, 40 anni di piazze strade e sogni

di Marco Zavagli | 4 min

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(foto tratta da Wikipedia)

Sono passati quasi 40 anni da quel 1972, anno dell’esordio. Allora cantava “Aspettando Godot” e la sua voce e la sua chitarra rimbalzarono dall’Osteria delle Dame di Bologna in tutta la Penisola per diventare un esempio della canzone d’autore italiana.

Oggi, a 61 anni, Claudio Lolli, docente di liceo in pensione, da sempre schivo verso i grandi palcoscenici e le facili platee nonostante il Premio Piero Ciampi alla carriera che lo raggiunse nel ’98, continua a cantare. A cantare la sua musica, quella che non si dimentica neppure a 40 anni di distanza.

Lo dimostra il raduno nazionale organizzato via Facebook dai fan dell’autore de “Ho visto anche degli zingari felici”, che oggi accorreranno da tutt’Italia a Pontelagoscuro, presso la festa del Pd, per assistere al concerto dell’artista bolognese. Lo spettacolo prevede un’ampia anteprima, che partirà alle 19 con un susseguirsi sul palco di giovani musicisti impegnati. Poi, alle 22.30, accompagnato dal gruppo degli Arangara, toccherà a Lolli. Che annuncia brani classici, “classicissimi” del suo repertorio, intervallati da alcune sue letture.

Quali sono stati i riferimenti musicali e letterari che ti hanno accompagnato fin dai primi anni?

“Devo molto alla letteratura americana di Carver ed Hemigway, alla poesia del grande Majakovskij e a quella di Pavese, di cui ho musicato un testo (“Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”, ndr) e alla musica degli chansonnier francesi e cantautori americani, come Brel e Ferré da una parte e Leonard Cohen dall’altra. La letteratura in generale è stata fondamentale nella mia vita”.

A Ferrara canterai i brani più famosi in omaggio al pubblico che verrà da tutt’Italia. Uno di questi, “Borghesia”, è cambiato nel corso degli anni rispetto alla prima versione. Nell’album del 2000, “Dalla parte del torto”, si notano piccole ma significative modifiche.

“Nel ritornello compare un ‘forse’ nella frase del “vento un giorno ti spazzerà via”. A 18 anni eravamo sicuri di tutto. Adesso quel “forse” è inevitabile e, magari, è anche la cosa migliore. L’altra aggiunta è ‘ex’ dopo la parola comunista. Un ex non rivolto tanto a me, quanto al mondo; abbiamo assistito al rinnegamento di determinati valori che comportavano un altro modello di società”.

È un rimpianto del comunismo?

“Non penso al comunismo come alla gabbia di ferro di decenni fa. Per spiegare meglio è illuminante una vignetta di Altan che mi regalò il padre di un mio studente: una bambina chiede al babbo seduto in poltrona se non siamo più comunisti. E il babbo: “no, ma ci rimpiangeremo…”. Penso che sia proprio quello che ci sta succedendo”.

Quarant’anni fa non sapevi se la borghesia ti facesse “più rabbia, pena schifo o malinconia”, oggi quale sarebbe la tua risposta?

“Io propenderei per lo schifo”.

E come vedi l’Italia di oggi? Una tua canzone, con chiari riferimenti al presente, parla de “L’amore al tempo del fascismo”, oggi viviamo al tempo del fascismo?

“Tecnicamente non si può parlare di fascismo. Diciamo che di democratico c’è poco quando chi vince le elezioni ha anche il controllo dei mezzi di comunicazione. Ma il fascismo è una cosa peggiore di questo periodo che viviamo, non dobbiamo esagerare; la nostra mi sembra più una autocrazia di stampo orientale che nel mondo ha un esempio simile solo in Thailandia”.

Eppure negli anni non molto è cambiato se della strage di Bologna che cantavi in “Agosto” i mandanti sono ancora ignoti e a ogni ricorrenza non mancano le polemiche. Come quest’estate quando il governo disertò la manifestazione davanti alla stazione.

“La gente li fischia e loro non vogliono essere fischiati. Un politico che non si prende nemmeno la responsabilità fisica del dissenso non è un politico, ma un pagliaccio”.

Da circa un anno hai lasciato l’insegnamento. Ma molti tuoi studenti li ritrovi ai concerti.

“Ho sempre avuto un rapporto bello con i miei alunni anche fuori dalla scuola. Credo che apprezzino molto il fatto che vedono un professore che non è solo un insegnante che passa annoiato le ore della mattina. Però tutto finisce ed è giusto così; oggi la scuola è diventata un vero incubo. Lo vedo sulla pelle dei miei figli. È stato disatteso il principio della formazione per sostituirlo con una omologazione americana fatta di test a crocette. Se questa è la modernità io preferisco non entrarci. Da questo punto di vista sono felice di essermene andato”.

Ora il tuo insegnamento arriva non più dalla cattedra ma dal palco. Molte cose in questi 40 anni sono cambiate. Tu porti sempre “i pugni in tasca, senza sassi per le carogne”?

“La storia è passata e io non voglio fare il reduce o il soldato giapponese che crede che la guerra sia ancora in corso. In realtà la guerra, quella culturale, non è mai finita. Anzi, deve ancora cominciare. Io alla mia età non posso far altro che questo, mandare nell’aria con molta ironia note e parole che gettano perplessità nel mondo, con canzoni che per fortuna, o meglio purtroppo, sono ancora molto attuali. Se fossimo in un mondo migliore sarei contento di stare zitto”.

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