Eventi e cultura
30 Maggio 2011
Lo schiaffo al cinema d’autore delle istituzioni locali

Ferrara lentamente muore

di Redazione | 6 min

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Riceviamo e pubblichiamo la lettera di denuncia di tre giovani uniti dalla passione per il cinema d’autore, che raccontano del loro progetto di creare un “pubblico consapevole” a Ferrara, che si avvicinasse alle pellicole di qualità, e di come la loro proposta sia caduta nel nulla.

Gentile Direttore,

chiediamo spazio sul suo giornale per indirizzare questa lettera alla città tutta. Siamo ragazzi poco più che ventenni, già laureati in università o diplomati in prestigiose scuole di recitazione. Abbiamo studiato e accumulato conoscenze e competenze, entrando in contatto e cercando di rubare segreti ai maestri dei nostri differenti settori, da Emilio Pasquini a Nanni Balestrini, da Giancarlo Giannini a Elio Germano, da Francesco Rosi a Pupi Avati.

Ci siamo incontrati, un giorno, su una passione che ci unisce: quella per il cinema e per il cinema italiano nello specifico. Un cinema che conosce oggi una fase di arretramento, solo talvolta interrotta da capolavori isolati. Un cinema che è vittima prima di tutto di una vocazione al consumo che mai dovrebbe coinvolgere le arti e che invece spinge registi e produttori all’eterna ripetizione dell’identico, ammazzando quella potenza innovativa, quella visionarietà, quella capacità di raccontare la storia profonda del nostro paese con la sola forza delle immagini che il nostro cinema aveva da sempre mostrato. Un cinema che è vittima dei tagli alla cultura, allo spettacolo. Un cinema che è vittima della miopia delle nostre amministrazioni.

Insieme, noi ragazzi nati a Ferrara ma emigrati per motivi di studio chi a Bologna e chi a Roma, abbiamo preso atto della situazione negativa del cinema nella nostra città: dallo scandalo tuttora irrisolto del museo Antonioni, alla chiusura di tutte le sale del centro storico seguita all’apertura di una multisala, alla gestione dell’intera programmazione affidata unicamente all’Arci (che fa un lavoro benemerito ma evidentemente non sufficiente), in un duopolio che scinde nettamente tra cinema d’intrattenimento e cinema di qualità e che si spartisce pacificamente il pubblico, senza alcun interesse ad una promozione del cinema di qualità che superi le cerchie ristrette che frequentano abitualmente Boldini, Vigor e Apollo.

Abbiamo preso atto di questa situazione e ci siamo chiesti cosa potevamo fare, noi per primi, per cambiarla, collaborando con realtà che ci parevano sì ferme, ma bisognose solo di qualche energia diversa, di una spinta nuova. E’ nata così l’idea di una rassegna, una rassegna importante, che coinvolgesse nomi di rilievo nazionale ed internazionale per la serata di inaugurazione (due di noi hanno girato l’Italia per il progetto dei 100 film da salvare, collaborando, fra gli altri, con i fratelli Taviani, il critico Fabio Ferzetti e altri) e che avesse ricadute sul tessuto culturale della città, configurandosi come inizio di un discorso più ampio. Dal nostro confronto è venuto fuori dunque il progetto di una serie di proiezioni, alcune dedicate anche alle scuole, sul cinema italiano che ha raccontato la storia dei nostri 150 anni. L’obiettivo era di formare in città un pubblico consapevole, allargando così l’interesse per il cinema di qualità, rendendo quest’ultimo nuovamente fruibile a tutti, spiegandolo anche a chi solitamente preferisce il volto di Massimo Boldi a quello di Gian Maria Volontè. L’occasione, per le istituzioni, era ghiotta: una rassegna già pronta, messa in piedi da giovani, l’anniversario dell’Unità che le conferiva un peso anche di celebrazione.

Abbiamo scritto il progetto, costruito le schede tecniche, il volantino, la locandina, la brochure. Abbiamo inserito grandi film e grandi registi, pur privilegiando uno sguardo obliquo, insolito: dal Vancini di Bronte a I Compagni di Monicelli a Uomini contro di Rosi, da Blasetti a Lattuada, dalla Werthmuller di Pasqualino Settebellezze, al Risi del Sorpasso, da Indagine sopra un cittadino a I Cannibali della Cavani, fino a Radiofreccia, al Tornatore di Stanno tutti bene, al Virzì di Tutta la vita davanti. Quindici film per centocinquant’anni, per raccontare la nostra storia con gli occhi del cinema.

Dopo avere consultato l’Arci ed esserci resi conto dell’impossibilità di limitare i costi, ci siamo mossi per chiedere la collaborazione delle istituzioni, di Comune, Provincia e Regione prima di tutto, della Camera di Commercio e di sponsor che solitamente si mostrano interessati alla promozione di eventi culturali: Carife, Fondazione Carife, IperCoop Estense, Melbook, ecc.

Per due settimane, nessuna risposta.

Poi, solo i politici, quasi obbligati. E pur apprezzando il “valore culturale” del progetto, l’assessorato regionale “non ha le disponibilità finanziarie per supportare questo genere di iniziative” perché la Regione può sostenere “solamente la produzione di documentari e opere di animazione”, quello comunale ha visto il nostro “bel progetto” ma “i programmi di attività sono già stati chiusi e organizzati” mentre quello provinciale non ha ritenuto di rispondere.

E’ questa sordità, questa rigidità, questa impermeabilità al nuovo – di cui il nostro caso è solo un esempio – che ci fanno ritenere impossibile oggi ipotizzare qualcosa di diverso, nel campo della cultura, a Ferrara. Ci sono i tagli governativi, e lo sappiamo. Ma si fanno delle scelte. Si mettono in piedi festival e grandi eventi, inutili musei nazionali. Si danno 90mila euro al Palio. Si pagano le scelte errate di amministrazioni precedenti che mai hanno chiesto scusa alla città. Non chiedevamo un assenso immediato ed acritico, ma pensavamo di suscitare interesse vero, non solo dichiarato. Non si può fare quest’anno? Perché non chiederci di progettarlo insieme per l’anno prossimo? Perché non chiederci comunque di approfondire un discorso sul cinema di qualità a Ferrara?

L’amministrazione attuale pare malata di fatalismo. Qualcuno dice che l’obiettivo di questa legislatura sembra quello di trasformare Ferrara in una Grande Parrocchia. E’ un atteggiamento, magari inconsapevolmente ma innegabilmente autoritario. Il bilancio comunale recentemente approvato ne è la dimostrazione lampante. Tutto è fermo, tutto è bloccato. Si fa gestione dell’esistente, senza dare nell’occhio, rinunciando alle mostre, rinunciando alle piccole librerie, rinunciando al turismo culturale.

Abbiamo negli occhi ancora l’assenza dell’allora sindaco di Ferrara ai funerali di Michelangelo Antonioni. Avrà avuto altri impegni, certo. Ha mandato l’allora vicesindaco, certo. Ma quel vuoto è davvero la rappresentazione plastica di una città non solo dimentica della propria straordinaria tradizione cinematografica, ma drammaticamente incapace di cogliere le forze che da sempre la innervano, le energie che ha al suo interno. Non sfruttate, quelle energie si disperdono, vanno fuori di qui o si mescolano a ciò che già c’è, perpetrando l’esistente, annullandosi.

Per noi, e per tanti altri come noi, il futuro, se c’è, è altrove. Viene in mente quello che Ungaretti scriveva per Lucca, un città murata, come la nostra: “Qui la meta è partire”.

Per noi, e per tanti altri come noi, la vita è altrove, ma Ferrara lentamente muore, incastrata com’è in un cumulo di interessi e di accordi di convenienza da cui sembra impossibile uscire. La città di Ferrara non progetta più, non spera più, non investe più in ciò che ha al suo interno.

In uno dei nostri ultimi incontri per organizzare la rassegna, parlando della nostra precarietà e della paradossale immobilità del panorama nazionale e locale, sono tornate alla mente di uno di noi le parole di suo nonno, queste: “Durante il fascismo non ho fatto carriera perché mio padre era socialista, durante la democrazia non ho fatto carriera perché non sono mai stato un leccaculo”.

Non so se la nostra generazione avrà la forza di rottamare una classe dirigente che occupa abusivamente posti di responsabilità così importanti. Ma, di certo, non starà con le mani in mano. E magari, un giorno, anche in Italia, per fare carriera sarà sufficiente saper fare bene il proprio mestiere.

Samuele Govoni

Stefano Muroni

Michele Ronchi Stefanati

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