Cento
30 Settembre 2022
Il processo a carico di uno dei tre uomini arrestati dai carabinieri dopo un tentato colpo in villa a Corporeno

Tentata rapina con pistola, le vittime scapparono sul tetto coi bimbi piccoli

di Daniele Oppo | 2 min

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Cento. Una mattina di terrore puro, quella vissuta da una famiglia di Corporeno il 13 giugno del 2020. Minuti lunghissimi, verso le 6, quando due uomini travestiti da operai, col volto coperto da un passamontagna, pistola e piede di porco in pugno hanno bussato alla porta della loro villetta, con estrema violenza, intimando agli abitanti di aprire subito.

Loro: moglie, marito, due figli di 8 mesi e 5 anni, non hanno dato seguito a quel terribile ordine. I due uomini hanno allora infilato una forbice nella congiuntura dei due battenti, cercando di scardinare il portoncino, non riuscendoci perché nel frattempo era stato dato l’allarme ai carabinieri e un complice, un palo, ha avvisato i due rapinatori che qualcuno stava arrivando.

Momenti di panico, nei quali la famiglia è fuggita cercando riparo sul tetto, aprendo la botola della mansarda e aspettando i carabinieri a cavallo dei coppi. Un grande rischio per sfuggire alla violenza e alla minaccia degli assaltatori, poi catturati dai militari, uno proprio mentre fuggiva, gli altri due nel prosieguo delle indagini.

A rispondere, ieri davanti al tribunale in composizione collegiale e presieduto dalla giudice Piera Tassoni, c’era un 45enne albanese: per l’accusa si tratta di uno dei due assalitori – gli altri complici, due italiani, hanno già patteggiato uno e preso una condanna in abbreviato l’altro – ma lui sostiene di essere innocente. Anche per questo la pm Isabella Cavallari ha chiesto al tribunale una perizia sul DNA ritrovato nei passamontagna. Uno dei carabinieri che hanno svolto le indagini, intanto, lo ha collegato al colpo sulla base di vari indizi, tra i quali telefonate e celle telefoniche agganciate. Ma a riconoscerlo c’è anche almeno uno degli altri complici.

È chiaro che non è il valore del bottino – in ogni caso abbandonato sul posto per via dell’arrivo delle forze dell’ordine – a rendere grave il reato: bidoni di vernice, un cric, una recinzione metallica, un tosaerba caricati sul furgone di proprietà delle vittime. È la condizione in cui ancora oggi vivono le vittime: da quel giorno, spiega l’avvocato Gianni Ricciuti che assiste la famiglia, “i miei clienti sono ancora traumatizzati. La qualità della loro vita e peggiorata. Non dormono più e a ogni rumore anche il figlio di cinque anni ha delle crisi”.

Si torna in aula il 10 novembre per sentire uno dei correi e l’imputato.

 

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