Raffaele Oriani: Siamo la scorta mediatica dei massacri
Di fronte a un genocidio la prima esigenza è quella di non averci nulla a che fare
Di fronte a un genocidio la prima esigenza è quella di non averci nulla a che fare
Tacere sul genocidio in atto significa esserne complice
Se vi fermaste ad ascoltarci davvero, capireste che non siamo vandali, siamo ragazzi che lottano per una causa comune, siamo i figli e il futuro di ogni paese democratico che si rispetti.
Una simile repressione non ha alcun fondamento se non nella consapevolezza che il clima politico la permette
Quali tempi sono questi, quando discorrere d’alberi è quasi un delitto, perché su troppe stragi comporta silenzio!
Chi era, è, e continuerà ad essere Luca Serianni, e cosa rappresenta per la conoscenza critica della lingua italiana, non devo certo dirlo io: un articolo nei giorni scorsi, su uno dei massimi quotidiani nazionali, impiegava una quindicina di righe per illustrarne il curricolo.
Mi limito a un ricordo personale.
Era la seconda settimana di novembre del 2010; una libreria romana aveva organizzato un dibattito sulla cosiddetta riforma Gelmini. In attesa dell’orario d’inizio (anche Serianni aveva il vizio gentile di arrivare in anticipo agli appuntamenti: un vizio raro, purtroppo), dopo esserci salutati, gironzolavamo fra i libri. Arrivò mio cognato, tifoso romanista, e ci mettemmo a scherzare sulla conferenza stampa della precedente domenica dell’allora allenatore della Roma Claudio Ranieri, che aveva baccagliato con i giornalisti dismettendo il suo aplomb britannico e dando voce al suo essere romano – anzi, testaccino – con una battuta fulminante: “Ma che ve state a’ attacca’ ar fumo d’a pipa?”
Al sentire la battuta Seranni alzò la testa, si girò vero di noi (mi sembra di ricordare che avesse la pipa e se la fosse tolta di bocca), si intromise cortesemente nella chiacchierata familiare, si fece ripetere la battuta, chiese se era caratteristica del Testaccio, e se la appuntò su un taccuino che aveva immediatamente estratto dalla tasca della giacca.
Tutto qui: Luca Serianni, forse la massima (senz’altro una delle massime) autorità in materia di lingua italiana, le parole le raccoglieva una per una dalla strada, armato di penna e taccuino, tal quale le parole elevate dei letterati.
L’autorevolezza dall’alto e la produzione dal basso della lingua si incontravano, in quella battuta annotata sull’agendina di lavoro, nel pari valore retorico attribuito dall’interprete e atteso dal parlante. Come scrisse David Foster Wallace (recensendo un dizionario!), questo è il massimo di democrazia che possiamo attenderci, oggi.
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