Cronaca
9 Luglio 2020
Assolta da tutte le accuse la funzionaria di Palazzo Giulio d'Este che sarebbe stata al centro del sistema che avrebbe favorito l'immigrazione clandestina: “È finito un incubo, ho passato 8 anni d'inferno”

Valanga di assoluzioni nel processo sui permessi ‘facili’ in Prefettura

di Daniele Oppo | 4 min

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“È finito un incubo, ho passato 8 anni d’inferno, ora respiro”. Scoppia in lacrime Simona Granatiero, la funzionaria della Prefettura finita a processo per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, corruzione e falso, mentre il giudice Vartan Giacomelli legge la sentenza. Piange perché è stata assolta da ogni accusa perché il fatto non sussiste o per non averlo commesso (per la presunta corruzione è scattata la prescrizione, ma per i fatti che ne costituivano la base è stata comunque assolta nel merito).

Come lei, avrà gioito anche l’avvocata Silvia Baldassare, non presente, imputata per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e falso: i giudici (il presidente Giacomelli e, a latere, Alessandra Martinelli e Andrea Migliorelli) la hanno pienamente assolta da tutto.

Per la Procura e la Questura, la sentenza del processo sui ‘permessi facili’ è un duro colpo vista la mole di accusati (circa 40), la quantità d’intercettazioni e carte, il numero di udienze celebrate, di accuse riviste in corsa e per le stangate richieste a conclusione della requisitoria. Le poche condanne arrivate, molto inferiori alle richieste anche in termini quantitativi, sono evidentemente fonte di delusione per la pm Isabella Cavallari: “Leggeremo le motivazioni (a 90 giorni, ndr) e poi valuteremo l’impugnazione”.

Secondo l’accusa, Granatiero aveva messo in piedi una “corsia preferenziale”, “un sistema” che grazie ai contatti di due cinesi con la funzionaria aveva alimentare una filiera di pratiche: false dichiarazioni di residenza che gli immigrati cinesi pagavano profumatamente (anche 10mila euro) per ottenere ricongiungimenti familiari o il rinnovo del permesso di soggiorno. Una ricostruzione che non ha retto al vaglio giudiziario: di fatto il presunto sistema con al centro Granatiero non esisteva.

Le condanne più pesanti riguardano Xia Lihong, detta Lee, una delle referenti della comunità cinese che si occupava di aiutare per le pratiche, condannata in abbreviato a 2 anni e 4 mesi per falso in merito a tre di esse  (la procura ne aveva chiesti nel complesso 7 e 400mila euro di multa) e Xia Xinwei, unica condannata per favoreggiamento dell’immigrazione (a 1 anno e 6 mesi) e che dovrà risarcire il Ministero dell’Interno.

Risulta assolta da tutto la quarta imputata principale, un’altra ‘mediatrice’ della comunità cinese, Xiang Aimei (detta Kelly), per la quale la procura aveva chiesto una pena a 6 anni di reclusione e 200mila euro di multa in abbreviato.

Le altre condanne sono tutte per falso e sono tutte a 8 mesi di reclusione – con sospensione e beneficio della non menzione – e riguardano sei cittadini cinesi.

“A parte la mia famiglia, ringrazio una persona sola – dice Granatiero fuori dall’aula, mentre ancora il presidente del collegio legge il dispositivo della sentenza -: il mio avvocato che non mi ha mollata un secondo”. “Non so chi le restituirà questi otto anni – afferma lui, l’avvocato Salvatore Mirabile -. Non c’erano prove, solo suggestioni, si sono convinti di un teorema accusatorio e lo hanno portato avanti. E lei è stata sospesa dal lavoro, ora è in smart working ma non le fanno fare nulla e sta aspettando che domani (mercoledì 8, ndr) le dicano cosa fare, guarda caso il giorno dopo la sentenza. Ovviamente sono soddisfatto per l’esito del processo”.

“È dal 2012 che andiamo avanti con questa situazione assurda anche per quel che comporta dal punto di vista personale e professionale – commenta l’avvocata Erminia Imperio, che difende Baldassarre -. Le difese hanno sempre nutrito dei dubbi sulla configurabilità dell’ipotesi accusatoria, a maggior ragione all’esito del dibattimento. Indagine e un processo hanno risentito di errori interpretativi e di pregiudizi anche di tipo morale nei confronti degli indagati”. Secondo l’avvocata, prendendo per buono l’impianto accusatorio, “avrebbero dovuto indagare tutto l’ufficio Sui (Sportello unico per l’immigrazione, ndr) e il personale della questura visto che la documentazione era la stessa per concedere il permesso o per le variazioni di residenza. L’esito del processo – conclude – ci fa pensare che è prevalso il buon senso e la consapevolezza che i rilasci e le mancate revoche dei nulla osta sono stati concessi nel rispetto della legge, l’ordine pubblico non è stato scalfito”.

Soddisfazione viene espressa anche dall’avvocato Carlo Bergamasco, difensore delle due ‘mediatrici’ cinesi Xia Lihong e Xiang Aimei. In merito alla condanna arrivata per la prima, l’avvocato afferma che “in base alle motivazioni della sentenza vedremo se sarà opportuno fare appello”.

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